20 aprile 2010

Kaspar Capparoni: in viaggio con Leroy


copyright www.latitudinex.it
Super sportivo, amante degli animali, Kaspar Capparoni ha alle spalle una lunga carriera teatrale e tantissimi ruoli in fiction amate, da "Elisa di Rivombrosa" e "Incantesimo" a "Capri" e "Donna Detective". Ma soprattutto è il compagno di scena del cane più amato della tv, il "Commissario Rex". Kaspar ha spesso organizzato manifestazioni benefiche a favore degli animali, contro l'abbandono dei cani e per il sostegno dei canili in Abruzzo dopo il terremoto. Ha cinque pastori svizzeri bianchi e undici cuccioli e li porta con sé anche in viaggio. Kaspar tornerà a breve sul piccolo schermo con la seconda serie di "Donna Detective", in coppia con Lucrezia Lante Della Rovere, su Rai 1 dal 21 aprile.


"Non ho un viaggio speciale da raccontare. Per me sono meravigliosi solo se riesco a portarmi dietro Leroy, uno dei miei cani. Purtroppo in Italia è molto difficile, non siamo ancora un paese civile sotto questo aspetto, è difficilissimo trovare un albergo che ospiti anche animali. Non come nel resto d'Europa, dove se entri in un ristorante con un cane ti offrono subito la ciotola per lui. Da noi è ancora una rarità e io mi batto affinchè gli animali vengano accettati ovunque. Sta poi al padrone far comportare il cucciolo bene. Il cane è un membro della famiglia a tutti gli effetti e non si può abbandonarlo in strada perchè non si può andare in vacanza con lui e metterlo in una pensione costerebbe troppo. Io e Leroy abbiamo fatto tanti viaggi insieme. Lui mi ha seguito in tutte le mie tournèe teatrali, conosce i palchi più importanti di tutta Italia. Mi segue pure nelle mie spedizioni sportive, io pratico molte attività, compreso l'alpinismo. E ho nel cuore un'immagine splendida di me e lui in alta montagna. Quando parto, non dimentico mai ciotole per l'acqua, vaschette per il bagno, scatolette: quasi quasi mi servirebbe un'altra macchina per trasportare tutto quello che occorre ai mie cani. Ma meglio loro di me".

Gaeta, una perla nel mare della Storia


copyright www.latitudinex.it
Sembra una nave protesa nel mare. E sono state proprio le acque limpide del Tirreno a darle fama di luogo di villeggiatura già dai tempi dei Romani: a Gaeta costruivano ville imperatori, consoli e ricche famiglie patrizie. Sono passati parecchi secoli, la cittadina laziale ha attraversato la storia sotto mille sfaccettature ed è rimasta un luogo preferito di vacanza, anche per le tante bellezze non solo naturalistiche del luogo, ma anche gastronomiche, spirituali e archeologiche. Con la protezione della "cordigliera" degli Aurunci, che la difende dai venti settentrionali, e con l'aiuto della brezza del mare, Gaeta regala atmosfere luminose e un clima mite. A soli ottanta chilometri da Napoli e centoventi da Roma, è meta amatissima per itinerari dai mille risvolti. Qui si può passeggiare tra storia e archeologia, assaggiare i cibi locali, a cominciare dalle famose olive, per finire con la tiella, una sorta di focaccia ripiena di verdure o pesciolini, adagiarsi nelle ampie spiagge limitrofe, scoprire le abbazie e le chiese dei dintorni.

La storia affonda le radici fino all'VIII Secolo a.C, ma fu solo nel 345 a.C. che Gaeta finì sotto l'influenza di Roma, diventando il posto preferito dove costruire le seconde case dell'epoca. Anzi, proprio per agevolare imperatori e consoli in vacanza sul golfo venne creata la Via Flacca, tuttora strada d'accesso per chi arriva dal litorale laziale. Dell'epoca romana restano molte vestigia, come il mausoleo che sorge alla sommità di Monte Orlando, dedicato a Lucio Munazio Planco, console, prefetto dell'Urbe e generale di Giulio Cesare (nonché fondatore di Augusta Raurica, oggi Basilea), con cui attraversò il fiume Rubicone. Passati i romani, Gaeta fu preda di saraceni e goti, divenne parte del regno di Federico II di Svevia, più volte ospite della città e che volle fortificare con le mura intorno al castello, già esistente. Ma soprattutto ebbe un ruolo chiave sia per il Regno delle Due Sicilie e sia per lo Stato Pontificio. Il nome di Gaeta è infatti passato alla Storia per Francesco II di Borbone che il 13 febbraio 1861 si arrese qui, nell'ultimo baluardo del suo regno, dando una spinta allo sviluppo dell'unità di Italia. Qualche anno prima, nel 1848, era stato papa Pio IX a rifugiarsi a Gaeta, in seguito alla proclamazione della Repubblica Romana da parte di Giuseppe Mazzini.

E fu proprio durante questo soggiorno che il Pontefice decise di proclamare il Dogma dell'Immacolata Concezione, appena tornato a Roma. Ad ispirarlo, pare fossero le preghiere che fece presso la Cappella d'Oro, o anche detta Grotta d'oro, nella chiesa della Sant'Annunziata, risalente al 1321. La stessa cappella dove, un secolo e passa dopo, si inginocchiò in preghiera papa Giovanni Paolo II. La chiesa è soltanto uno dei tanti punti storici della città, insieme al castello di Federico di Svevia. Da visitare sono anche il Duomo con il campanile in stile romanico-moresco del XII secolo, la pinacoteca comunale di arte contemporanea, il centro medievale con stradine, vicoletti, torri e scale, il Palazzo De Vio con il Museo Diocesano dove è conservato lo Stendardo di Lepanto, sventolato durante la famosa battaglia navale dalla flotta cristiana al comando dell'ammiraglio Marcantonio Colonna, partita proprio dal porto di Gaeta. Un salto al borgo marinaro e contadino di Porto Salvo non può mancare, con i vicoli che si snodano ortogonalmente a Via Indipendenza con una struttura a spina di pesce e la chiesa di San Francesco, dedicata al Santo che qui passò nel 1222. Con San Francesco e i papi ospiti, Gaeta è piena di luoghi intrisi di spiritualità.

In particolare c'è un itinerario religioso che inizia dal Santuario della Montagna Spaccata: nome legato a tre fenditure verticali che la leggenda vuole siano state prodotte dal terremoto verificatosi alla morte di Cristo, qui vennero in pellegrinaggio papi, vescovi e santi, come Bernardino da Siena, Ignazio di Loyola, San Filippo Neri che, secondo il mito dormì su un giaciglio in pietra, ancora conservato come il "Letto di San Filippo Neri". Da questo santuario sui passa a un altro: quello mariano della Madonna della Civita, per concludere l'itinerario con la visita all'abbazia cistercense di Fossanova. Un percorso tra luoghi di preghiera in sublime armonia e bellezza del territorio Sud-Pontino. Se poi si è stanchi di tanta cultura e storia, una pausa gastronomica è quel che ci vuole. Gaeta è famosa per i tanti prodotti del territorio, che unisce mare e colline. Numerose sono le pietanze ghiotte elaborate nel corso dei secoli: il primo documento sul quale è riportato la parola "pizza" è contenuto nel Codex Diplomaticus Caietanus, dell'anno 997. Fondamentale per le ricette è l'olio di Gaeta, che secondo una leggenda già conosciuta ai tempi di Enea e nel Medioevo, toccava i prezzi più alti dell'intero bacino del Mediterraneo.

Ovviamente non mancano le olive, la mozzarella di bufala, i pomodori e soprattutto, come si diceva, la tiella, vero e proprio cibo simbolo locale. Per smaltire le calorie, niente di meglio che un tuffo nel mare: le spiagge intorno a Gaeta sono tra le preferite per le vacanze e offrono ancora acque limpide. Ogni anno, poi, la seconda domenica di agosto, parte dalla chiesa degli Scalzi una tradizionale processione che porta la statua della Madonna di Porto Salvo, protettrice dei pescatori e dei naviganti, su una barca al centro del golfo dove si getta una corona di fiori in ricordo di tutte le vittime del mare. La natura però non è rappresentata solo dal mare. Ci sono molti luoghi che offrono panorami splendidi per gli appassionati di sport all'aria aperta: si può provare il brivido dell'arrampicata libera sul Monte Moneta, una delle mete più amate dai free climbers. Le pareti rocciose del monte, altro 359 metri, dominano la Piana di San Agostino con strampiombi rossi e ci sono ben nove settori che offrono possibilità di arrampicata. Se poi si è sfiniti da tanti itinerari specifici, sportivi, culturali o gastronomici, organizzati dalla Proloco, si può sempre ripiegare sui centri benessere che abbondano in zona.

Fiori e foche a Garnish Island


copyright www.latitudinex.it
GLENGARRIFF – Un'intera isoletta occupata da un giardino esotico. E' Garnish Island, o meglio come la chiamano i locali, "Illnacullin" o "Illaunacullin": una fiabesca oasi di tranquillità e verde, con un panorama mozzafiato, con un briciolo di storia e con tantissimi fiori di ogni genere. A maggio e giugno è spettacolare la fioritura dei rododendri, delle camelie e delle azalee, ma anche in primavera e in autunno i suoi viali sono suggestivi. Un angolo di paradiso come solo l'Irlanda, selvaggia e naturale,
sa offrire e come si può ammirare in "Una proposta per dire sì", divertente commedia con Amy Adams e Matthew Goode, nelle sale attualmente e girata quasi completamente tra le spettacolari vedute offerte dal Paese.

Già l'approdo a Garnish Island ha il suo fascino. Ci si arriva con traghetti che fanno la spola tra Glengarriff, nella baia di Bantry nella regione a ovest di Cork, che stanno ben attenti a non urtare gli scogli dove riposano serafiche e simpaticissime le foche, le vere regine di queste acque. I pinnipedi restano lì immobili, pronti a farsi fotografare dagli ospiti del parco, ma ben vigili e sono un'attrattiva in più di questo angolo di paradiso in Irlanda. Appena sbarcati al piccolo molo si viene colpiti subito dalla particolarità del luogo: un giardino esotico ricco di costruzioni particolari, tutto ordinato e perfetto, fa da contrasto alla natura circostante, al panorama della selvatica baia, alle coste selvagge e alle montagne brulle. Un impatto stupefacente, che rende l'atmosfera ancora più rilassante. L'isola, originariamente, era stata usata dall'esercito britannico per difendersi da un'eventuale invasione di Napoleone: la torre "Martello", ancora presente nei giardini, risale proprio a quel periodo e fu costruita con quello scopo. Oggi rimane il punto più alto di Garnish, da dove si può avere un'ampia visuale della baia. Nel 1910, l'isoletta fu trasformata in giardino esotico da Harold Peto su commissione di Annan Bryce, un imprenditore di Belfast. Così divenne la casa di centinaia di piante e alberi di ogni genere, ma anche di costruzioni di ispirazione neoclassica.

Ilnacullin è esteso 15 ettari e gode della corrente del Golfo, che permette la crescita e lo sviluppo di piante subtropicali: un microclima eccezionale arricchito dal terreno torboso della zona. A tarda primavera, come si diceva è il trionfo delle camelie, delle azalee e dei rododendri, mentre in autunno è l'erica a farla da padrone. Ma le fioriture, data la grande presenza di specie, sono continue e sempre da ammirare. Il primo impatto con Garnish Island è il giardino all'italiana, dominato da un tempietto con stagno artificiale pieno zeppo di ninfee bianche e rosse. Poi si continua su un percorso in stile giapponese, con una collezione di bonsai e con le rocce sistemate in maniera strategica. E poi ancora un corridoio di felci neozelandesi, un sentiero tra alberi mastodontici e un roseto. Ma probabilmente la parte più affascinante è un cortile ricchissimo di fiori, dai cardi viola alle peonie e ai fiori di campo gialli che attirano le api. Qui tutto sembra lasciato al caso, ma è solo un'illusione ottica: ogni cosa, ogni posizione, ogni arbusto è curatissimo. Appena usciti dal cortile allegramente caotico ci si trova davanti un immacolato prato all'inglese per la tea house. Ed è proprio questo gioco di contrasti, tra il disordine e la perfezione, tra il disegno e la costa selvaggia, la particolarità di Garnish Island.

Gran Canaria, sul bordo del grande mare


copyright www.latitudinex.it
LAS PALMAS – Da alcuni mesi le Isole Canarie sono più vicine all'Italia. La compagnia low cost irlandese Ryanair ha infatti aperto la tratta diretta Pisa-Las Palmas, capitale di Gran Canaria, la terza isola dell'arcipelago. Ora bastano quattro ore di volo per arrivare nel fantastico clima di queste isole spagnole, di fatto però in Africa. Situate nell'Oceano Atlantico, di fronte alle coste del Marocco (dai 200 ai 70 km di distanza), questa serie di isolette di origine vulcanica rappresenta l'ultimo lembo d'Europa prima del grande balzo verso le coste americane. Ben lo sapeva Cristoforo Colombo che ad ogni partenza per il suo viaggio atlantico ha fatto prima tappa in questo estremo punto di terra. Le sue ragioni saranno anche state dettate dal cuore, ma era ben conscio che poi da qui si affrontava il nulla del grande mare. Ma come dare torto al navigatore/esploratore genovese. Queste isole sono contrassegnate da un clima estremamente mite, la loro forza sta nell'avere un inverno piacevole (si riesce a fare il bagno oceanico) e un'estate mai torrida e soprattutto ventilata.

Delle sette isole ognuna ha una propria peculiarità: Fuerteventura ad esempio è il regno dei windsurf per il suo vento e le spiagge selvagge, Gran Canaria invece è il paradiso del turista con le sue ampie possibilità alberghiere e la vocazione tipicamente vacanziera. Ma non sempre è stato così: negli ultimi 40 anni le isole, e in particolare Gran Canaria, hanno subito una riconversione economica: dall'agricoltura (pomodori, frutta) al turismo. La popolazione ha così abbandonato le campagne, faticose e poco redditizie, per spostarsi sulla costa e dare impulso all'industria turistica. Certamente l'isola di Gran Canaria (una delle sette dell'arcipelago) offre opportunità di alloggio di livello. Numerosi hotel e resort soddisfano le esigenze di un pubblico di alto standing. Ovviamente la massima concentrazione è sulla costa, anche se l'interno offre affascinanti scenari di grande respiro. La caratteristica è quella dei grandi complessi alberghieri, di proprietà di famose catene internazionali (Melia, Riu etc.) con hotel da oltre 500 stanze (a Maspalomas, nel sud dell'isola, hanno recentemente inaugurato un resort da 2.600 posti, il più grande dell'arcipelago spagnolo).

Purtroppo la concentrazione di strutture ha portato anche un forte impatto ambientale con poca attenzione alla sostenibilità ed addirittura la creazione di spiagge artificiali di sabbia o di cemento. Esistono tuttavia piccole realtà alberghiere, alcune anche sulla costa, con una diversa concezione del turismo (es. la catena Hecansa). Curiosità: esiste un'ottima catena alberghiera, la Paradores, di proprietà dello Stato, gestita da privati. I paesaggi di Gran Canaria sono molto vari, una notevole (bio)diversità caratterizza l'isola. Se la costa, spesso alta e frastagliata, ovviamente offre scenari marittimi, l'interno è tutto diverso: si va dai deserti alle montagne nel giro di pochi chilometri passando per frutteti, banani soprattutto, e boschi con una grande varietà di piante. Affascinano, soprattutto nell'entroterra, i colori di quest'isola, spesso tutti concentrati nei banchi dei fruttivendoli, ma anche fiori e piante di cui è ricca Gran Canaria. L'isola è assolutamente da attraversare per scoprirla al meglio. L'entroterra è solcato da profondi canyon desertici, da crateri di vecchi vulcani ormai spenti e da stazioni montane con ampie possibilità di trekking soprattutto nella stagione "fredda" (si fa per dire).

La costa, a parte gli scempi di cui sopra, offre a sua volta scorci molto belli. Sicuramente da non mancare la visita alle dune di Maspalomas, quattro chilometri di spiaggia a dune (e anche belle alte) dividono la città dal mare. Spettacolare al tramonto. Per il resto la scelta dei luoghi è ampia ma il turismo a Gran Canaria deve essere un po' "randagio", fermarsi in un solo posto significa non approfondire i molteplici aspetti di quest'isola e privarsi del piacere della scoperta di angoli molto belli. A frequentarla soprattutto tedeschi e inglesi. Per gli italiani potrebbe essere dunque una scoperta, aiutati in questo forse anche dalla nuova tratta aerea diretta.

25 marzo 2010

Tra Zen e ciliegi a Taizo-in a Kyoto


copyright www.latitudinex.it
KYOTO - Ciliegi, iris e aceri, ma anche pietre, sassi e cascatelle. Il giardino giapponese è un'opera d'arte a sé stante. Unisce in uno stretto rapporto spiritualità, meditazione e natura e diventa un microcosmo fatto di vari elementi che creano una visione paradisiaca per gli occhi, l'olfatto e la mente. A Kyoto, poi, questa concezione Zen è verificabile in ogni angolo, strada o parco. Normalmente costruiti intorno a un tempio, i giardini della città esplodono di bellezza in ogni stagione, grazie a un attento disegno di forme e colori voluto dai giardinieri nipponici che rispettano il ritmo della natura. Come il Taizo-in. Tra fine marzo e inizio aprile c'è poi l'incanto del sakura, ovvero la fioritura dei ciliegi, che inonda viali e parchi cittadini. È il momento massimo della bellezza di Kyoto, antica capitale dell'impero per più di mille anni e nota anche come la città dei mille templi, che ha proprio come fiore simbolo quello del ciliegio. Qui a inizio primavera i petali bianchi rosati si impadroniscono di rami e alberi, insieme al rosa più forte dei pruni e a quello ricco di mille sfumature di camelie e azalee.

Il Taizo-in è situato accanto al Tempio Myoshin-ji e risale al 1337. Vanta un insieme di 47 templi decorati con dipinti della scuola Kano e molti oggetti d'arte: come la campana più antica del Giappone e il dragone dipinto sul soffitto di una delle strutture principali. Tra i templi minori aperti al pubblico vi sono il Keishun-in, noto per quattro giardini e per un albero del tè, e soprattutto Taizo-in, piccolo e delizioso. È composto da un giardino di passaggio di Kano Motonobu, famoso paesaggista del periodo Muromachi, nel Cinquecento, e da un giardino secco di Nakame Kinsaku, risalente al Novecento. Così si mettono in pratica due insegnamenti della scuola di archittettura giardiniera di Kyoto, il cuore della cultura Zen. Per giardino di paesaggio secco si intendono luoghi di meditazione accanto ai templi: sono formati da rocce scelte, senza particolare forma e collocate in un recinto di ghiaia rastrellata. Alle rocce, colui che medita può fornire l'interpretazione che desidera. Mentre per giardino di passaggio, popolari nel periodo Edo quando venivano commissionati dai signori feudali, si intende un giardino attraversato da sentieri sinuosi dove il paesaggio cambia ad ogni passo tra stagni, sentieri, sorprese e curiosità. È proprio questa parte del Taizo-in che è un trionfo della natura.

Si inizia attraversando lo stagno al centro del parco su uno dei tanti ponticelli: sulle rive a maggio esplodono gli iris e i giaggioli di ogni colore. Si continua tra sentieri tortuosi che si aprono improvvisamente in ampi spazi in un continuo gioco a nascondino tra i tronchi dei ciliegi e dei pruni in fiore. Si continua costeggiando la riva dello stagno, tra piante acquatiche e ninfee giganti, fino ad arrivare un padiglione sospeso sullo stagno da cui si ha una meravigliosa panoramica del giardino. Durante il periodo del sakura, questo lato del giardino viene illuminato per godere anche di sera dell'effetto dei ciliegi in fiore. Non solo primavera però, anche l'autunno è una stagione trionfale per il Taizo-in. Gli aceri lo tingono di toni caldi e dorati, in un tripudio di foglie rosse e gialle. In tutto questo si può vedere una delle curiosità del giardino: un bacino di pietra nascosto tra le rocce e la vegetazione. Qui l'acqua che filtra da una canna di bambù e gocciola sulle pietre, produce un suono magico e delicato, da percepire nel silenzio assoluto. Anche il giardino secco ha il suo fascino. Le rocce sono sistemate a formare un insieme che sembra un dipinto, arricchito da un elegante ponte di pietra. Lo spazio dedicato al 'moderno' in stile Zen è composto da tre piani di cascatelle che scorrono da una macchia di arbusti verdi e danno l'impressione di formare una grande cascata di montagna. Illusioni ottiche, rispetto per la natura e i suoi cicli, fiori e alberi sistemati in totale ordine anche cromatico: tutto questo porta il visitatore a restare in silenzio a contemplare il magico trionfo dell'ambiente sull'uomo.

Czech point Pilsen


copyright www.latitudinex.it
PILSEN - La birra certo, ma anche arte, tecnologia e tanta, tanta storia. Pilsen, nell'ovest della Repubblica Ceca è una città che offre un panorama completo di attrazioni pur nelle sue ridotte dimensioni, che ne esaltano lo stile di vita a misura d'uomo. Oggi la quarta città del Paese, con circa 175.000 abitanti, Pilsen fu fondata nel 1295 alla confluenza di quattro fiumi, (cioè dove il Radbuza, il Mže, l'Úslava e l'Úhlava formano il Berounka) dal re Vanceslao II di Boemia. Da allora ha visto passare eserciti e scorrere sangue sotto i suoi ponti. Le guerre di religione ceche, dette guerre hussite dal nome del riformatore rinascimentale Jan Hus, ne fecero il centro della resistenza cattolica locale. Durante la Guerra dei trent'anni, la sua posizione nel cuore dell'Europa causò inevitabilmente l'azione di ferro e fuoco sul suo territorio e così si susseguirono gli assedi dei protestanti, delle truppe imperiali e di quelle svedesi.

Nel secolo scorso, i nazisti entrarono a Pilsen nel 1939, mentre a differenza del resto del Paese, non furono le armate sovietiche a liberare la città alla fine della Seconda guerra mondiale, ma quelle americane del generale George Patton. Scopriamoli allora i tesori che Pilsen offre immutati anche nel Ventunesimo secolo. Quelli del passato soprattutto. Nel centro storico perfettamente conservato si può ammirare la Cattedrale di San Bartolomeo, monolitica costruzione gotica nel centro della piazza della Repubblica. La sua torre campanaria svetta a 102 metri dal suolo, la più alta del Paese. Su una cancellata all'esterno dell'abside la figura in metallo di un angelo è considerata un portafortuna dagli abitanti, che a forza di toccarla, l'hanno quasi consumata. A lato del duomo altri due tesori: la Colonna della peste, eretta nel 1681, opera dello scultore locale Kristian Widmann e il palazzo del municipio, disegnato dall'italiano Giovanni De Statio fra il 1554 e il 1559. E ancora, la Grande Sinagoga, la terza per dimensioni e importanza nel mondo dopo quelle di Gerusalemme e Budapest e la seconda in Europa, a testimonianza della comunità ebraica di Pilsen, fiorente fino all'inizio del secondo conflitto mondiale.

A Pilsen abbondano i musei che spaziano praticamente in ogni campo. Si va dal memorial dedicato alle truppe di liberazione americane e denominato, ancora una volta, Patton (a proposito, il generale dormì in città, insieme all'allora collega e successivamente presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower in quello che oggi è l'Hotel Continental) al Museo delle marionette, altra specialità locale. Il gusto un po' gotico - questa del resto è la città dei sotterranei misteriosi - si può assaporare anche al Muzeum Strašidel, dedicato ai mostri, alle fiabe, ai miti e alle leggende. Tutto in salsa locale. Con un profilo più classico la città presenta anche il Museo della Boemia occidentale, il Museo etnografico e due gallerie d'arte: la Zapadočeska e la Města Plzně. Ma anche la moderna tecnologia trova il suo spazio: precisamente al Techmania Science Center, ospitato all'interno dello stabilimento Škoda. Qui, con un occhio particolare alla didattica, installazioni interattive introducono al mondo della chimica e della fisica.

E poi i castelli, verie e proprie sentinelle del passato, raggiungibili con una gita fuori porta. Da vedere è soprattutto quello di Nebilovy (foto a destra), a 18 km verso sud est. Si tratta di un palazzotto in stile barocco in mezzo alla campagna costituito da due ali separate da un giardino interno. Sempre in zona anche il castello di Radyne che è invece una rovina ben conservata risalente al 1356. Da buon maniero medievale, sorge in cima a una collina e domina tutta la valle. Non lontano si trova anche la cosidetta Rotunda di San Pietro e Paolo, una costruzione circolare in pietra che è ciò che resta di una fortificazione del X Secolo. La particolarità è che si tratta della struttura più antica della Boemia occidentale. Quando poi gli abitanti di Pilsen sono stanchi di tutta questa offerta, non hanno che da andare a stendersi al sole lungo uno dei laghetti artificiali che circondano la città. Ce ne sono tutto intorno, immersi in un sistema di parchi con sentieri e piste ciclabili. Queste del resto rientrano nel circuito regionale dedicato alle due ruote, lungo ben 1.400 chilometri. Quasi tutti i laghetti hanno vere e proprie spiagge attrezzate lungo le rive e uno dei più belli è sicuramente il duplice lago Bolevec, a nord della città. Qui è stato anche attuato un progetto di miglioramento delle acque, finalista del Livcom 2008, la giuria internazionale per la vivibilità delle aree urbane.

Nello Yemen sulle onde dell'oceano Indiano


copyright www.latitudinex.it
SANA'A - Tanti sono i mezzi di trasporto che ci possono accompagnare in un viaggio: l’aereo, la macchina, il bus, la bicicletta e… il surf! Così imballata la nostra tavola in una scatola di cartone partiamo alla volta di Sana’a, capitale dello Yemen, per un viaggio che ci porterà dalla zona di Hawf, dove la costa oceanica dello Yemen cede il passo a quella dell’Oman, fino alla città di Mukalla. Usciti dall’aeroporto, la sensazione che si prova è di completo smarrimento, l’afa e l’umidità sembrano insopportabili; i nostri occhi europei vedono una cittadina caotica, polverosa, avvolta in una nebbia pesantissima. Incontriamo Khaled, la nostra guida, carichiamo i bagagli sul tetto della jeep, tiriamo un lungo respiro e partiamo.

Percorrendo non più di 20 km il paesaggio muta completamente, dal deserto più arido si passa alla montagna verde, la sensazione è quella di trovarsi in un posto unico. La lingua di asfalto scorre in una giungla verdissima e afosa, giriamo una collina, la nebbia si dirada, abbiamo il primo incontro con ciò che stiamo cercando: l’Oceano Indiano. Una stradina si insinua in un piccolo villaggio, sbuchiamo in un posto surreale, una spiaggia deserta, avvolta nella nebbia; proprio di fronte a noi capiamo che la lingua di terra è un minuscolo molo naturale che crea una piccola, ma lunga onda. Siamo stanchi, è tardi, non sarebbe un buon momento per entrare in acqua: gli squali sono una delle incognite che ci affligge fin dalla partenza, ma la voglia è irresistibile, lasciamo da parte ogni pensiero, ogni paura, sfiliamo le tavole ed entriamo. Il mattino seguente sono alcune voci a svegliarci, sono schiamazzi di un gruppo di ragazzini che stanno giocando a calcio vicino a noi, la voglia di rientrare in acqua si fa sentire, ma vogliamo esplorare e continuiamo scendere lungo la costa.

Il gusto per l’esplorazione ci spinge senza motivo su uno sterrato che ci conduce verso una spiaggia completamente deserta. Il mare è piatto, non c’è l’onda che cercavamo ma non importa! Il posto è da favola, ci fermiamo a respirare, a pensare, semplicemente a guardare. È in questa insenatura, a Ras Sharma, che durante la notte, veniamo svegliati da uno degli spettacoli più emozionanti che la natura possa offrirci: c’è la luna piena, la sabbia bianchissima a quest’ora, con questa luce, diventa di un blu profondo e frotte di tartarughe marine approdano sulla battigia perdendo la loro naturale agilità sottomarina, con movimenti lentissimi ma precisi, scavano enormi fosse e ripongono decine di uova, restiamo a bocca aperta. Giorno per giorno, ci rendiamo conto che in questa terra ogni posto è una scoperta, ogni situazione è unica; una semplice sosta per cercare dell’acqua potabile, diventa un pezzo di vita da tenere stretto, la nostra presenza è ovunque motivo di festa, il concetto di turista non esiste, siamo gli stranieri che vengono da un altro villaggio, la lingua è diversa, i vestiti anche, ci portiamo appresso due strani attrezzi, ma sorridiamo e questo basta a tutti.

Arriviamo a Mukalla, il primo vero contatto con una cittadina yemenita, la vita è frenetica, chiassosa, ma allo stesso tempo pacata e silenziosa. Il mercato del pesce ci rapisce: urla, contrattazioni, odori, il pesce più pregiato sui tavoli umidi e puzzolenti del mercato è lo squalo. Usciti dal mercato ci viene servito il pane più buono del mondo, preparato sul momento, il fuoco diventa rovente per scaldare il nostro cibo, non possiamo desiderare di meglio. Per un momento abbiamo la sensazione di rallentare, di percepire lo spirito intimo di questo posto. Uno dei Paesi più armati al mondo, paese nativo della famiglia Bin Laden, simbolo del fondamentalismo islamico, per noi non è stata altro che una terra di scoperta, di onde e di sorrisi. Armi ne abbiamo viste molte ma abbiamo deciso di non raccontarle, non per nasconderle o far finta di nulla, ma perché sono un’icona sbagliata, fuorviante per l’occhio occidentale; abbiamo voluto scoprire l’altra faccia dello Yemen, la faccia nascosta quella che per noi è quella di maggior valore.

18 marzo 2010

Gli incappucciati di Siviglia


copyright www.latitudinex.it
SIVIGLIA - Incappucciati, fiori e misteri. La Settimana Santa è un rito imperdibile in tutta l'Andalusia, specialmente a Siviglia. L'intera città si trasforma per questa tradizione religiosa e folkloristica che diventa anche una festa collettiva, tra solennità e fervore. Dovunque i balconi delle case si vestono di drappi colorati, le strade si rimpiccioliscono per far posto alle transenne e alle panche, i marciapiedi sono decorati da milioni di composizioni floreali. A Siviglia, la Settimana Santa è uno degli eventi più importanti: la sua origine risale probabilmente al XIV secolo. Le 57 confraternite della città fanno una processione di penitenza per le strade, andando dalla loro chiesa fino alla Cattedrale e viceversa, cercando il percorso più breve possibile come decretato dall'ordinanza del Cardinale Nino de Guevara nel XVII secolo.

Dalla Domenica delle Palme al giorno di Pasqua sfilano gli abitanti di Siviglia accompagnando le immagini in processione relative alla Passione di Cristo. Alcuni sivigliani recitano il ruolo di Nazareno: portano in coreto ceri o insenge, indossano una tunica e hanno il volto coperto da una maschera e un cappuccio. Sono un tantinello lugubri, ricordano il Ku Klux Klan, il cappuccio ha sole le fessure per gli occhi perchè l'identità della persona deve essere nota solo a Dio. Per fortuna i cittadini sono abituati a giocare con questo rituale, al punto che nelle pasticcerie si trovano molti incappucciati di cioccolato o marzapane. Sicuramente sono il simbolo più vistoso delle processioni, già in sé molto coreografiche. Accanto ai nazareni, sfilano bande musicali che suonano gli inni delle confraternite, portatori di croci, turiboli con l'incenso e ceri, penitenti vestiti come i nazareni ma senza il cappuccio che stanno dietro alla statua del Cristo e camminano scalzi (un modo per compiere un voto). Al centro, il Mistero del Cristo: ovvero l'immagine e la portantina dove si trova la Statua di Gesù e può essere formata da uno o più personaggi che rappresentano un passaggio della Passione.

Normalmente la maggior parte delle confraternite porta in scena due misteri, uno con il Cristo e le scene della Passione, Morte e Resurrezione, l'altro con la Vergine Maria. A volte si arricchiscono di altri misteri riguardanti l'Ultima Cena, la Trinità, l'Amore. Ma per i sivigliani la parte più importante di tutta la processione è il Palio, o meglio il Mistero della Vergine. Gli abitanti possono aspettare ore in un posto strategico pur di veder passare la "loro" Vergine che per ogni Confraternita è differente, unica e speciale. Al contrario del Cristo che ha diverse rappresentazioni, le immagini di Maria inscenano tutte lo stesso momento della storia: ovvero la Madre che piange la morte del figlio. Cambiano i piccoli dettagli, ai quali i sivigliani tengono in modo particolare ma che il profano spesso non nota. Quello che è evidente, invece, è il manto: l'enorme stola di tessuti nobili parte dal capo della Vergine e si estende fino ad un supporto rigido. Il drappo è sostenuto da pali, a volte sembra quasi un tetto per proteggere la statua. Ognuno di questi teli è un trionfo di ricami, oro, gioielli, sete e broccati e quant'altro di splendido ci possa essere.

Le confraternite si sbizzariscono ogni anno nel cercare di stupire di più attraverso il manto della Vergine, che alla fine è un vero e proprio capolavoro di artigianato. Abitualmente per le strade di Siviglia si snodano processioni di sessantamila persone che recitano varie funzioni, mentre gli spettatori assiepati ai bordi delle vie principali raggiungono il milione durante la notte clou: tra il giovedì e il venerdì, quando le confraternite del Silenzio, del Gran Potere, del Calvario, dei Gitani, della Speranza di Triana e della Macarena intraprendono la loro processione verso la Cattedrale. Il percorso, ovvero la carrera oficial, parte da Plaza de la Campana e arriva alla splendida Cattedrale, dove viene realizzata la stazione della penitenza. Le processioni possono anche essere un'occasione per scoprire Siviglia: a cominciare dall'imponente Cattedrale terminata nel 1507, con la cappella dedicata a San Antonio, la Capilla Mayor con la pala d'altare più grande del mondo, le vetrate istoriate, la tomba di Cristoforo Colombo e il coro di 117 stalli intagliati in stile gotico. Da non perdere è la Giralda, la torre nord occidentale, alta 90 metri e costruita in mattoni tra il 1184 e il 1198 era il minareto dell'antica moschea che sorgeva in questi pressi.

La Giralda, con le sue proporzioni, i colori e le decorazioni è uno degli esempi più belli di architettura islamica in Europa, come il vicino Alcazar. Questo è un affascinante complesso più volte ampliato e rimaneggiato nei suoi undici secoli di esistenza. Splendido nei cortili, nei pati, nei palazzi con i mosaici, nei giardini. Un'oasi di storia e tranquillità nel caos della Settimana Santa. A Siviglia ci si può perdere tra i vicoli del Barrio de Santa Cruz, il quartiere medievale ebraico, ad est della Cattedrale, girovagare per le strade dello shopping intorno a Plaza De San Francisco, riposarsi nell'originale Plaza de España dove tra fontane e canaletti d'acqua si può ammirare una struttura semicircolare in mattoni e piastrelle che rappresenta l'arte ceramica di Siviglia e che sembra una sorta di "Bignami" delle città spagnole. Tutto questo si può fare magari gustandosi uno dei piatti tipici della Settimana Santa, a base di baccalà, o un dolce come le torrijas, sempre ascoltando come sottofondo gli immancabili canti tradizionali legati alle processioni.

Come arrivare
La compagnia aerea low cost Ryanair propone voli diretti da Bologna, Milano, Pisa e Roma. Con uno scalo su Madrid o Barcellona si può arrivare a Siviglia anche, ovviamente, con la compagnia di bandiera Iberia. Questa in Italia raggiunge Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Genova, Milano, Napoli, Olbia, Palermo, Pisa, Roma, Torino, Venezia e Verona. Anche la connazionale Vueling unisce la città andalusa all'Italia con collegamenti diretti, volando su Roma e Venezia.

I cavalli dell'imperatrice


copyright www.latitudinex.it
VIENNA - Vienna e i cavalli: un binomio inscindibile, fatto di eleganza e romanticismo, per secoli, tanto è vero che ancora oggi nelle vie della città ci sono i calessi trainati da magnifici animali. Ma il centro di questa tradizione è tutto nella Scuola Spagnola, la più antica accademia equestre del mondo, che ha sede nell'Hofburg, per oltre 600 anni residenza della dinastia asburgica, fino all'imperatore Francesco Giuseppe e alla sua sposa, Elisabetta, la mitica Sissi. Nel maneggio imperiale della Hofburg vengono allevati i cavalli lipizzani, simbolo di maestosità e potere, e i loro spettacoli di gala sono una delle attrattive più importanti per i turisti della capitale austriaca. Questa accademia, fondata nel 1572, è la più antica Scuola Classica d'Europa. Fu chiamata Spagnola proprio perché utilizzava cavalli di origine iberica. I capostipiti furono infatti importati dalla Spagna dieci anni prima da Massimiliano d'Asburgo.

Erano cavalli di sangue andaluso con una caratteristica inconfondibile: un mantello grigio, quasi bianco. Il mantello e l'origine erano sufficienti a farli ritenere discendenti dal cavallo bianco che, secondo la tradizione, era il preferito nientemeno che di Giulio Cesare. Un'analogia che all'imperatore Massimiliano non dispiaceva. L'esercito austriaco impiantò quindi un allevamento dove si incrociavano questi stalloni con le migliori fattrici del posto. L'allevamento, nel 1580, fu stabilito a Lipizza, oggi Lipica, in Slovenia, un villaggio di campagna vicino a Trieste che diede il nome alla razza. Da Lipizza i soggetti migliori venivano portati a Vienna e addestrati in un maneggio inizialmente in legno e poi riedificato agli inizi del Settecento in forme barocche. Questo stesso palazzo ancora oggi ospita le scuderie e il maneggio dove si può assistere agli allenamenti e agli spettacoli di gala della Scuola di Equitazione Spagnola. Senza la Scuola Spagnola di Vienna oggi forse l'equitazione di alta scuola sarebbe comparsa. Questa, detta anche scuola classica, comprende esercizi non più previsti nelle gare moderne.

Il dressage, che è la disciplina olimpica più vicina e imparentata con questa antica forma di equitazione, prevede infatti che in tutti i movimenti il cavallo mantenga il naturale contatto con il terreno. Nell'alta scuola invece il cavallo salta e si impenna sul posto: cioè esegue movimenti che gli esperti definiscono arie alte. Nei secoli scorsi questi particolari esercizi avevano un fine ben preciso: impressionare gli spettatori delle grandi parate militari e al tempo stesso far capire agli ufficiali delle altre nazioni il livello di preparazione raggiunto dalle proprie forze armate. Insomma, era un'elegante maniera di dire a cortigiani e generali: "State alla larga perchè questa è la potenza della nostra cavalleria". Tra il Settecento e l'Ottocento la Scuola raggiunse il massimo del suo splendore. In quei secoli cambiò anche il modo di montare: i cavalieri impiegavano meno forza e cercavano di sfruttare di più i movimenti naturali del cavallo con una tecnica meno violenta. Questo spiega perchè nel 1735 all'inaugurazione della nuova Scuola di Vienna fu organizzato addirittura un carosello per le amazzoni, al quale prese parte anche l'imperatrice Maria Teresa.

Altra data storica per la Scuola è il 1815, anno di un carosello in onore dei delegati del Congresso di Vienna, cioè i capi delle potenze che avevano sconfitto Napoleone Bonaparte. Le guerre furono sempre nemiche dei lipizzani. Nella zona di Lipizza si svolsero molte battaglie napoleoniche e i cavalli dovettero essere spostati in Ungheria. Poi, dopo la Prima guerra mondiale, Lipizza divenne per breve tempo italiana e i cavalli furono ancora esiliati. Ma il colpo finale lo diede la Seconda guerra mondiale: entrando in Austria gli americani trovarono i cavalli praticamente alla fame. Qualcuno già pensava di farne bistecche, quando trovarono un altro protettore: il generale George Patton, che si innamorò di questi esemplari. Diede disposizioni affinchè venissero nutriti e si adoperò di fare tornare le fattrici allo storico allevamento di Piber. Bisognò aspettare il 1955, però, per ritrovare la Scuola Spagnola a Vienna nella sua sede barocca, perfettamente restaurata dopo i bombardamenti. I cavalli sono tutti stalloni lipizzani, quasi sempre grigi e provenienti dall'allevamento federele di Piber che ha sostituito quello di Lipizza, pur sempre attivo, ma ormai in territorio sloveno.

I cavalli vengono domati molto tardi, a quattro anni, e prendono parte allo spettacolo solo dopo parecchi anni di addestramento. Si inizia con il cavallo che lavora individualmente per poi passare a eseguire le varie figure in gruppo. Poi, per i pochi soggetti che superano anche questa fase, si passa a un addestramento con la musica e le luci artificiali. Gli spettacoli infatti prevedono anche parecchie esibizioni a tempo di valzer. Durissimo è l'addestramento per il cavallo e il cavaliere che dura all'incirca dieci anni. La giornata inizia alle sei del mattino sino alla due del pomeriggio. Si parte con la pulizia di cavalli e scuderie, poi si passa alla lezione in maneggio e alla teoria che comprende veterinaria, alimentazione, bardatura, mascalcia. Altra materia di studio è la musica, poichè molte esibizioni sono accompagnate da musica classica. Le lezioni in maneggio sono la parte più importante. Qui la pratica è tutto: non esistono manuali sulla tecnica di monta adottata dalla Scuola Spagnola. Tutto è tramandato oralmente, di generazione in generazione. L'allievo diventerà cavaliere ufficiale della Scuola solo quando avrà addestrato uno stallone da sé. E quel cavallo sarà il "suo" primo cavallo con cui condividere anni e anni di lavoro e soddisfazioni.

Foto dal sito www.lipica.org

Suite dreams


copyright www.latitudinex.it
Camera, anzi, suite con vista su scenari naturali, archeologici, urbani, che catturano con forza per bellezza e suggestione. È il massimo dei sogni a cinque stelle per i viaggiatori extra lusso: amplificare il piacere della vacanza, vivendo la destinazione nel comfort (con vista) assoluto. Dalle vette andine di Machu Picchu, in Perù, alla Giordania, da Montréal al Marocco, fino a Firenze e alla Sicilia, ecco sette suite per sette differenti viste sul mondo. Alcune in città, altre immerse in una natura spettacolare. E tutte con un unico denominatore: l'eccellenza.

Machu Picchu Sanctuary Lodge - È l’unico albergo che si affaccia sulle rovine della mitica cittadella Inca. Per la sua posizione privilegiata, a 400 metri sopra il fiume Urubamba e a 50 dalla zona archelogica, il Sanctuary Lodge offre ai suoi ospiti panorami naturali d’impareggiabile bellezza, oltre al comfort di un ambiente caldo e accogliente. Dalle due suites, che sono arredate con gusto semplice e impreziosite con tessuti e legni dell’artigianato locale, si ha la vista migliore. Che oltre alle antiche vestigia comprende gli imponenti massicci del Machu Picchu e del Huayana Picchu.
Machu Picchu Sanctuary Lodge, Machu Picchu, Cuzco, Perù
Info: www.orient-express.com


Evason Ma’In Hot Springs & Six Senses Spa - Per raggiungere questo eco-resort di classe e tradizione, ultimo gioiello nato in casa Six Senses, bisogna percorrere la biblica Strada dei Re che attraversa la Giordania da nord a sud e conduce fra le più belle valli e siti del Medio Oriente. A un’ora d’auto da Amman, l’Evason Ma’In si trova incastonato in una conca rocciosa, a 264 metri sotto il livello del mare, fra le alture desertiche che dominano il Mar Morto. Dalle due royal suite, arredate con materiali naturali, legno e pietra locale, e colori caldi dall’arancio al marrone, la vista spazia fino alle luci di Gerusalemme, oltre il Mar Morto, e sulle cascate naturali di acqua termale che zampilla calda a 45°C
Evason Ma’In Hot Springs & Six Senses Spa, Madaba, Ma'In
Info: www.sixsenses.com


Lungarno Suites - Pensate per quanti vogliono provare il piacere di avere casa con vista su Ponte Vecchio e l’Arno, a Firenze, senza però rinunciare alle comodità e ai servizi di un grande albergo a cinque stelle. Le 44 suite di cui dispone il Lungarno Suites sono un’esperienza di luce e stile, dimore eleganti aperte sulle meraviglie della città: dalla terrazza-solarium della Suite Belvedere, ad esempio, si ammirano Palazzo Pitti, Forte Belvedere e San Miniato. A richiesta, un personal chef vi prepara la cena. Lungarno Suites, Lungarno Acciaiuoli 14, Firenze
Info: www.lungarnohotels.com



Caruso Hotel - Immaginate di fare un tuffo nell’infinito, sospesi tra cielo e mare. A Ravello, incanto d’arte e slow life della costiera amalfitana, il Caruso hotel offre molto di più. Ex residenza nobiliare dell’XI secolo, nel periodo del Grand Tour ospitò il gruppo di Bloomsbury. Oggi, nell’infinity pool, incastonata tra la Rocca del Belvedere e l’antica murazione che perimetrava l’acropoli di Ravello, si nuota a 350 metri sospesi tra cielo e mare, sul golfo di Salerno. Da mozzafiato la vista che si gode dalla terrazza privata dell’Exclusive Suite, tripudio di eleganza minimal e design mediterraneo, sul golfo e la costiera, tra piante di limoni e aranci.
Hotel Caruso, Piazza San Giovanni Del Toro 2, Ravello, Salerno
Info: www.hotelcaruso.com

Verdura Golf & Spa Resort - Inaugurato da pochi mesi, il resort cinque stelle, proprietà di Sir Rocco Forte, nostro signore italo-britannico dell’hotellerie di lusso, da solo vale la destinazione. Si trova lungo le coste siciliane di Sciacca, in una zona ancora preservata dal turismo di massa e prende il nome dal vicino corso d'acqua che sfocia nel Mediterraneo. Fiore all’occhiello, i due campi da golf, uno da 18 e uno da 9 buche, disegnati dall’architetto-principe del green Kyle Phillips. Dalla Ambassador Suite, un santuario di privacy, eleganza e stile, la vista infinita spazia tra cielo e mare.
Verdura Golf & Spa Resort, Contrada Verdura, Sciacca, Agrigento
Info: www.verduraresort.com



Dar Darma - A Marrakech, in Marocco, nel cuore della Medina, a due passi dalla celebre piazza Jemaa El-Fna, cuore pulsante della città, e dalla Scuola Coranica Medersa Ben Youssef. Il tuffo in uno degli eterni rendez-vous del bel mondo può iniziare da questo elegante riad di charme. In un palazzo del XVIII secolo, la dimora privata, un’oasi di eleganza ristrutturata da poco, oltre a due appartamenti dispone di quattro lussuose suite con terrazza-solarium e vista sul patio con piscina orlata di palme o sui tetti della città moresca. Superbi gli arredi, un tripudio di preziosi tappeti, lampadari e mobili d’arredo siriani, iraniani, marocchini, dispone anche di un hammam tradizionale.
Dar Darma, 11/12, Trik (rue) Sidi Bohuarba, Marrakech
Info: www.dardarma.com

Fairmont Queen Elizabeth - La suite 1742 del lussuoso hotel di Montréal non è una stanza d'albergo qualsiasi. Quarant’anni fa fu trasformato in uno dei più importanti palcoscenici della storia della musica e del costume per avere ospitato il famoso bed-in for peace di John Lennon e Yoko Ono. Per una settimana, la mitica coppia rimase a letto per promuovere la pace contro la guerra in Vietnam. L’happening calamitò l’attenzione dei media di tutto il mondo. Ogni giorno John e Yoko dal loro letto accoglievano decine di giornalisti, fotografi e intellettuali della controcultura americana che, come Allen Ginsberg e Thimothy Leary, parteciparono alla registrazione in suite dell’inno pacifista Give peace a chance. La camera-museo oggi è fra le più richieste dell’hotel.
Fairmont Queen Elizabeth, 900 Rene Levesque Blvd. W Montreal
Info: www.fairmont.com/queenelizabeth

15 marzo 2010

Orvieto, capitale del fantasy e dell'horror


copyright www.latitudinex.it
ORVIETO - Il terrore corre tra la Storia. Misteri, horror, avventura, paura non potevano trovare casa in un luogo migliore. Nella mistica e quasi esoterica Orvieto si svolge il primo Fantasy Horror Award, il festival dedicato al cinema dell'orrore che in questo periodo è in pieno fulgore. Dal 19 al 21 marzo 2010 si incontrano nella città umbra tantissimi ospiti, da Dario Argento a Carlo Lucarelli, da Brian Yuzna a Robert Englund. Tra anteprime, film in concorso, tavole rotonde, mostre, party, concerti e molto altro. Una tre giorni no stop per gli appassionati del genere che potranno vedere da vicino registi, attori e scrittori. Una full immersion dalle 10 di mattina sino alle 24 nell'horror e nel fantasy. Tutto finalizzato alla serata di premiazione durante la quale saranno consegnate 16 statuette, tra le altre, per miglior film, miglior sceneggiatura, miglior romanzo, miglior interpretazione, miglior serie tv, miglior fumetto, miglior sito web e via spaventando.

Le immagini del Festival saranno poi trasmesse il 24 e il 25 aprile in esclusiva su Fantasy, canale 132 di Sky, che ha organizzato la manifestazione insieme al Comune di Orvieto, la Provincia di Terni e l'APT dell'Umbria. Tra gli ospiti più attesi, ovviamente il re incontrastato del cinema horror italiano, Dario Argento. E poi Federico Zampaglione, neo regista di "Shadow", e la sua musa Claudia Gerini, il mitico Freddy Kruger di "Nightmare" Robert Englund, l'attrice di "Halloween" Kristina Klebe, il musicista Claudio Simonetti, l'autore di "Lost" e "Heores" Jeph Loeb, le nuove leve registiche Milan Todorivic e Nicolas Winding Refn. Non mancano le sezioni dedicate alla narrativa e al fumetto, mentre il premio alla carriera sarà consegnato a Brian Yuzna. Un Festival non tradizionale, che si può seguire anche su www.fantasyhorroraward.com, ma che vivendolo ad Orvieto mette un filo di terrore in più. Non a caso questa città millenaria, già famosa all'epoca degli etruschi, è sospesa quasi per magia tra cielo e terra, ancorata su una rupe di tufo. Uno degli aspetti che la rendono mistica è proprio il dedalo di grotte nascoste nell'oscurità silenziosa della Rupe.

Scavate pazientemente nel corso dei secoli dagli antichi abitanti, sono un immenso patrimonio archeologico e storico. Attraverso di loro si passa dalla Orvieto estrusca a quella medievale e rinascimentale, tra echi misteriosi e viaggi nel tempo. Del resto, Orvieto sembra essere un labirinto nella storia, tra pozzi e cunicoli, gallerie e grotte usate nei secoli per la produzione e la conservazione del tipico vino della zona. Un mondo sotterraneo che sembra essere uno spaccato di un film fantasy o horror come quelli proiettati al festival. A cominciare dal pozzo più famoso, quello che accoglie i visitatori all'entrata della città alta. E' il Pozzo di San Patrizio: a sezione circolare, profondo quasi 62 metri e largo circa 13 e mezzo. Il suo nome è legato al santo irlandese Patrizio, abituato a pregare nella profondità di un pozzo. La costruzione iniziò dopo il 1527, anno in cui il Papa Clemente VII Medici scappò dal Sacco di Roma e si rifugiò proprio a Orvieto. Il Pontefice, scottato dalle imprese drammatiche compiute dai lanzichenecchi, ordinò che venissero costruiti pozzi e cisterne per assicurare alla città un'autonomia idrica in caso di assedio.

Il progetto del pozzo che avrebbe dovuto servire la Rocca, la parte alta della città, fu affidato ad Antonio da Sangallo il Giovane che creò una struttura a doppia elica raggiungendo le sorgenti a oltre 50 metri di profondità e permettendo il facile trasporto dell'acqua in superficie per uomini e animali. I lavori finirono solamente una decina d'anni dopo, nel 1537, quando il Papa Paolo III Farnese ordinò un cilindro esterno al pozzo ornato di gigli, suo stemma di famiglia, per testimoniare la sua presenza a Orvieto. Tuttora due portoni diamentralmente opposti danno l'accesso alle due scale a chiocciola, una per la discesa e l'altra per la risalita, indipendenti tra loro e composte da 248 scalini. Sul fondo è collocato un ponte di legno sopra il livello dell'acqua. Il pozzo è illuminato da settanta finestroni, ma nonostante questo ha un'aurea di sovrannaturale. Altrettanto legato al mondo dei misteri è il Duomo, la principale attrazione di Orvieto, un gioiello dell'architettura gotica. La sua costruzione, avviata nel 1290, fu voluta da papa Niccolò IV per dare una collocazione al Corporale del Miracolo di Bolsena: nel 1263 il sangue sgorgò dal Pane Benedetto mentre un prete boemo celebrava la messa nella Basilica di Santa Cristina a Bolsena.

Il prezioso reliquario del miracolo, che riproduce la sagoma tripartita della facciata del Duomo, è conservato all'interno della chiesa, di una semplicità severa e toccante. Tra gli splendori imperdibili, il portale centrale rivestito di lastre bronzee, il rosone e la Cappella Nuova o di San Brizio affrescata dal Beato Angelico e da Luca Signorelli, con grandiose scene apocalittiche dedicate al "Giudizio Universale". Ma ad Orvieto non mancano le opere legate al passato pagano della città. Come la chiesa di San Giovenale, nata sulle fondamenta di un tempio etrusco dedicato a Giove: è una delle più antiche, risale al 1004 ed è situata sul bordo occidentale della Rupe. Oppure la chiesa di Sant'Andrea e Bartolomeo, costruita sulle rovine di un tempio pagano e di una chiesa paleocristiana. O ancora la Necropoli del Crocifisso del Tufo, con le tombe etrusche. Tra misteri, stradine affascinanti e panorami spettacolari sulla valle sottostante, Orvieto è degna sede del Fantasy Horror Award. Senza contare che i numerosi prodotti locali, dal vino al tartufo, dall'olio alla norcineria, dal pecorino al miele e alla frutta 'antica' come visiciole e sorbe, possono consolare gli spettatori atterriti dalle scene delle pellicole di paura.

Dal carbone all'arte, Ruhr capitale della cultura


copyright www.latitudinex.it
ESSEN - La chiamano la Torre Eiffel della Ruhr, l’imponente torre d’acciaio, icona del passato industriale del distretto minerario tedesco e, prima ancora, gonfalone della Zollverein: la monumentale miniera degli anni Trenta alle porte di Essen, che nel 2001 l’Unesco ha dichiarato patrimonio mondiale dell’umanità. È stato inaugurato qui, con la cerimonia d’apertura intitolata "Gluck Auf" (il tradizionale saluto fra i minatori tedeschi), l’anno che vede la Ruhr capitale europea della cultura 2010. È la prima volta che questo titolo viene assegnato a un’intera regione. Fino a pochi decenni fa, il bacino metropolitano della Germania nord-occidentale era famoso per le miniere di carbone, le cokerie e le acciaierie.

Oggi, grazie a una radicale trasformazione, gasometri e siti minerari sono stati trasformati in straordinari palcoscenici culturali e centri per l’arte contemporanea che costituiscono un insolito quanto affascinante panorama in bilico tra archeologia industriale e progetti urbanistici avveniristici, firmati da archistar come Norman Foster, Herzog & de Meuron, David Chipperfield, Alvaar Alto. È di Rem Koolhaas, per esempio, il modernissimo RuhrMuseum da poco inaugurato nell’ex padiglione della Zollverein dove un tempo veniva lavato il carbone: l'ex rampa di scivolo del silos è stata trasformata da Koolhas in una spettacolare scalinata illuminata da neon color rosso incandescente, che si arrampica per oltre 30 metri e porta alla sala museale che ospita una ricca documentazione sul passato della regione. Mentre è una realtà ormai consolidata già dal 1997 il Red Dot Design Museum che Norman Foster ha ricavato nell'edificio 7 del complesso minerario, quello che un tempo ospitava la caldaia: una cattedrale dell’industria, dove il simbolo della sacralità è costituito da un'auto sospesa come un dio pagano.

Nei pressi di Essen, a Oberhausen, città gemellata con la sarda Carbonia, si può ammirare un altro esempio di spazio industriale recuperato a centro espositivo e palcoscenico per installazioni e mostre di architettura: l'ex Gasometro. Edificato nel 1929, con i suoi 170 metri di altezza e un diametro di 68, è il più grande d'Europa e ospita numerosi eventi in ambito di Ruhr 2010. Nel corso dei prossimi mesi, le 53 località prescelte della regione saranno palcoscenico per circa 2.500 eventi. Fra le capitali della cultura, Duisburg è la città con il porto fluviale interno più grande al mondo: negli ultimi anni è stato recuperato a nuova vita da Sir Norman Foster con la creazione di centri residenziali, locali, gallerie. Proprio sul water front si affaccia il Museo d'arte moderna e contemporanea Kuppersmuhle: ricavato nell'ex silos e magazzino di stoccaggio di cereali, sarà ampliato su progetto degli architetti Herzog & de Meuron.

Dj Jad: la mia Havana hip hop


copyright www.latitudinex.it
Spesso nella sua musica ricorre l'idea del viaggio, come fonte d'ispirazione e come sogno. Dj Jad porta già nel nome d'arte un qualcosa di esotico: Jad in sanscrito vuol dire "pazzo". L'ex metà degli Articolo 31, al secolo Vito Luca Perrini, classe 1966, dopo un album da solista, "Milano-New York" concepito nella metropoli americana e realizzato con collaborazioni locali, è tornato in Italia. Il suo recente cd "Il Sarto", un mix tra soul e hip hop, racconta uno spaccato del nostro Paese anche grazie a molti artisti che hanno lavorato con lui. Fra questi Cor Veleno, Amir, Ensi e Dj Enzo. Dopo quattro anni di cambiamenti artistici e privati, Dj Jad si è quindi cucito addosso un'anima musicale che lo rispecchia totalmente. Nel suo curriculum anche un'altra produzione: la doppia compilation "Back on track" del 2005, realizzata con la collaborazione di firme come Missy Elliott, The Roots, Alicia Keys e Outkast.

"Io sono uno che ha sempre voluto viaggiare, perchè si impara di più andando nei posti che dai libri, che comunque servono. Partivo dal mio quartiere periferico di Milano alla volta di Londra o Parigi. Poi con il successo degli Articolo 31 è arrivata la possibilità di esibirci all'estero. In particolare, mi è rimasto nel cuore un concerto che abbiamo fatto all'Avana a Cuba nel 1999. Ci sono tanti aneddoti legati a quel viaggio che magari un giorno scriverò in un libro. È stato meraviglioso sotto ogni aspetto. Ho scoperto un popolo splendido che non ha niente; non muoiono di fame, ma non se la passano decisamente al meglio ed è comunque sempre allegro e sorridente. Ho cercato di capire questa loro caratteristica e ho scoperto che sta nel fatto che non conoscono né invidia né astio, sono sempre pronti ad aiutarsi tra loro, hanno una mentalità diversa dalla nostra che li porta a stare bene con sé stessi. Noi abbiamo fatto vita da turista: sei ai Caraibi non puoi non andare al mare. Dopo un tuffo in acqua, mi sono ritrovato circondato da belle ragazze, un paradiso per un uomo. Ma io, che sono un tipo fedelissimo, mi ero portato dietro la mia fidanzata di allora. Ovviamente abbiamo mangiato tantissimo pollo e aragoste, che però devo dire sono piene di carne ma poco saporite. Eravamo ospiti dell'Avana Libre, l'hotel che un tempo era il punto d'incontro degli americani.

Ho conosciuto il dj della discoteca che c'è al piano di sopra: gli ho regalato le mie cuffie e alcuni strumenti di lavoro, si è commosso, si è messo a piangere e io mi porto ancora nel cuore il suo sorriso che arriva oltre le orecchie. Abbiamo anche visitato una scuola di musica: era strano vedere questi ragazzi suonare in un posto senza porte e finestre, chi cantava, chi suonava le percussioni in un angolo, chi era chino sul pianoforte nel corridoio. Siamo anche stati ospiti della televisione cubana, ci siamo ritrovati in uno studio stile "Happy Days", molto colorato. Loro sono rimasti fermi agli anni Cinquanta, ma sta anche qui il fascino dell'isola. L'Havana è una città consumata, era la Las Vegas degli anni Trenta, qui venivano tutti i gangster dell'epoca come Al Capone, poi c'è stato l'embargo e tutto è cambiato. Ricordo che c'era molta attesa per il nostro concerto, avremmo dovuto suonare alle 10 in piazza Camilo Cienfuegos. Alle 8 avevo appuntamento con una persona che conoscevo e questo mi accompagna nel ghetto: povertà e miseria, case senza porte, gente 'tamarra'. Ma io non ho avuto paura, ero rilassato, anche se vestito propriamente da turista con i bermuda e il cappellino. Sentivo una vibrazione positiva, siamo stati a bere in una casa e all'improvviso mi sono reso conto che erano già le nove, avrei dovuto essere nel backstage del concerto.

Di corsa, sono arrivato in piazza e ho trovato i miei collaboratori preoccupati per me, me ne hanno dette di ogni. Ma la cosa strana era che nella piazza non c'era nessuno, era vuota e deserta. Ho chiesto a un custode, mi ha risposto che era l'ora della telenovela preferita e più famosa di Cuba. Così siamo tornati in hotel e abbiamo bevuto una dietro l'altra una serie di piña colada con il cocco fresco: e pensare che ora sono astemio! Alla fine, al momento di salire sul palco, c'è stata una sopresa: in piazza c'era una marea di gente, noi eravamo quasi ubriachi e sul palco abbiamo fatto di tutto, improvvisando parecchio. È stato un delirio. Un concerto strepitoso che mi è rimasto nel cuore, anche se la mia città preferita resta New York. Ci vado spesso, anche due volte l'anno, ci ho vissuto e lavorato, mi ha arricchito professionalmente e umanamente più del successo che ho avuto in Italia. Adoro New York perchè è il centro del mondo, un miscuglio di razze ed energie che trasmette emozioni inimitabili".

9 marzo 2010

Philadelphia , la più amata dal cinema


copyright www.latitudinex.it
Non è Hollywood, non è la mecca del cinema, non ci sono neppure studi di registrazione. Eppure Philadelphia è una delle città più amate per girare film e telefilm. I suoi monumenti, le sue strade, le sue piazze sono diventate familiari allo spettatore medio proprio per averle viste in centinaia di pellicole. Tanto che nella capitale della Pennsylvania è organizzato un bus che porta nelle zone rese celebri dalle scene. Del resto, Philadelphia ha legato il suo nome ad uno dei film più premiati di sempre, "Philadelphia" appunto, con il premio Oscar Tom Hanks e con l'altrettanto Oscar alla colonna sonora con la canzone di Bruce Springsteen.

Una città elegante, storica e 'bene' come racconta "Scandalo a Philadelphia", indimenticabile film di George Cukor del 1940 con la viziatissima Katherine Hepburn divisa tra Cary Grant e James Stewart: un trio fantastico di attori, una sceneggiatura impeccabile presa da un testo teatrale e una villa faraonica a fare da scenografia. Tanto che lo stesso film venne ripreso molti anni dopo, nel 1956, e venne arricchito di musiche: era "Alta Società" con Frank Sinatra ma soprattutto con un vero simbolo della "Philly" bene", ovvero Grace Kelly, futura principessa di Monaco. Sua Altezza era nata proprio qui, come lo sono anche Richard Gere, lo scrittore Michael Connelly e Will Smith, che è partito dalla Philadelphia nera per diventare il "Principe di Bel Air". Ma l'immagine di Philly è tutt'uno con quella di Rocky. Qui infatti Silvester Stallone girò cinque dei film della serie e visitando il Philadelphia Museum of Arts non può non venir in mente la scalinata enorme dove il pugile si allenava, fino arrivare al vasto spiazzo in cina, alzare i pugni in alto in segno di vittoria e gridare il mitico "Adrianaaaa". A ricordo di Rocky, c'è una statua ai margini dello scalone, giusto per ribadire il concetto che Philadelphia è una città tollerante e aperta a tutto.

È proprio il Museo una delle tante attrattive culturali e artistiche della città. Non basta una giornata per visitarlo tutto con le tantissime sezioni, ha la collezione importante di Impressionisti, mentre intere ali sono destinate ai manufatti di India, Giappone e Cina. Tra Monet, Cezanne, Beato Angelico, Botticelli, una curiosità: il primo ritratto di una coppia afroamericana. Non mancano le mostre temporanee dedicate ai più grandi artisti del mondo: fino al 25 aprile 2010 ce n'è una dedicata a Picasso. Già la struttura stessa del museo è un esempio dell'architettura di Philadelphia. Ispirato alla Grecia classica, domina la parte terminale delle Benjamin Franklin Parkway, una delle più importanti arterie cittadine, a fianco del Fairmount Park. All'interno del parco c'è la succursale del museo, il Rodin Museum,c he ospita la collezione più vasta di opere di Auguste Rodin al di fuori della Francia. Inoltre, il museo ha il privilegio di avere una delle più belle panoramiche di Philly: dallo spiazzo sopra lo scalone l'occhio si perde sulla grande via dedicata all'illustre cittadino Benjamin Franklin e arriva fino al cuore della città, quello legato alla Storia degli Stati Uniti.

Fondata nel 1682 dal quacchero William Penn, è una delle città più antiche degli Usa. Sorge sulla riva occidentale del fiume Delaware, è attraversata da un suo affuente e il centro storico è compreso tra questi due fiumi. Qui, in questo fazzoletto di terra, si fece l'America, ispirata ai principi di libertà e tollerenza religiosa alla base delle intenzioni di Penn, che chiamò la sua città Philadelphia, ovvero in greco "città dell'amore fraterno". Costuita sulla planimetria a griglia, con tutte le vie che corrono in direzione nord-sud e in direzione est-ovest, ha il suo cuore nella City Hall, l'edificio più alto del mondo realizzato in marmo, lo stesso che fa spesso da sfondo alle inquadrature dei casi di omicidio irrisolti della serie tv "Cold case". La City Hall è il simbolo di Philly, con la statua di bronzo di 27 tonnellate che raffigura Penn sulla cima, che, fino agli anni Ottanta, prima che si cominciassero a costruire i grattacieli, dominava incontrastata la città. Proprio diripetto al municipio, si trova un vecchio tempio massonico: qui si tenne la prima runione di massoni nelle colonie nel 1732. Oggi è un museo con reperti storici di personaggi che hanno fatto l'America come George Washington, Andrew Jackson e Benjamin Franklin.


Dal Municipio parte la Market Street, la strada più commerciale di Philadelphia, anche questa unisce passato e presente serenamente. Tra centri commerciali sfavillanti, offre parecchie possibilità di sosta negli antichi mercati coperti dove assaggiare la gastronomia locale come la famosa "Philly's Steak" e i prodotti freschissimi provenienti dalle fattorie Amish nei dintorni. Una sosta rifocillante per chi vuole arrivare a piedi nella zona più storica della città. Per tutti gli altri c'è un comodo tram d'epoca che fa il giro delle attrazioni e porta alla Indipendence Hall. Costruita tra il 1732 e il 1756, è il luogo dove venne firmata il 4 luglio 1776 la Dichiarazione d'Indipendenza, la stessa che voleva rubare Nicolas Cage in "Il mistero dei Templari". Nella piazza dove sorge si respira davvero la Storia. Qui venne redata la Costituzione Americana, nelle aule venne ospitato il primo parlamento Usa. Sul lato opposto della Indipendence Hall si trova l'Old City Hall che fu teatro della prima corte Usa, la Corte Suprema. Davanti, nel Indipendence National Historical Park, detto anche il chilometro quadrato più storico d'America, c'è l'imperdibile Liberty Bell.

La campana venne fusa da una Fonderia di Whitechapel a Londra nel 1751, per celebrare l'anniversario della Carta dei Privilegi, redatta da William Penn. Una volta arrivata negli Stati Uniti, si scoprì una crepa e la campana fu di nuovo fusa. Posta in cima alla State House, come si chiamava ai tempi l'Indipendence Hall, faceva sentire i rintocchi in occasione dei maggiori avvenimenti pubblici: ad esempio chiamò i cittadini a raccolta per la prima lettura pubblica della Dichiarazione d'Indipendenza. L'ultima volta la campana ha suonato per il compleanno di George Washingston nel 1846, ma è rimasta il simbolo della libertà e dell'indipendenza per tutti gli americani. Sempre nel chilometro quadrato, c'è un altro palazzo consegnato alla Storia. È Carpenter's Hall che ospitò il primo Congresso Continentale che stipulò la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e che durante la Guerra d'Indipendenza americana divenne un ospedale. Ora è un museo dedicato al periodo coloniale. Finite le visite ai monumenti, è bello perdersi nelle stradine che delimitano la zona. Qui ci sono le case costruite quando gli Usa non erano ancora nati, il primo ufficio postale, molti spazi verdi con alberi e panchine dove ammirare gli scoiattoli, viuzze eleganti dove può sembrare di vedere il fantasma di Ben Franklin circolare liberamente tanto sembrano rimaste inchiodate in un'altra epoca.

Una sensazione riportata anche dal fatto che qui si svolgono tour per turisti con la guida vestita come nel Settecento. Un fantasma per fiction l'hanno davvero ospitato queste strade dei quartieri residenziali, con le case tutte tirate a lucido e i giardinetti perfetti. Era quello di Bruce Willis, psicologo per "Il sesto Senso". Philadelphia con la sua eleganza è stata pure una scenografia ideale per lo scambio di "identità" tra Eddie Murphy e Dan Aykroyd per "Una poltrona per due": in una via del centro si può vedere lo scalone doppio di un club per soli gentlemen, in stile inglese, dove rotolò il "povero" Aykroyd. Una delle mille anime di questa città ricca di storia, cultura, arte e sport: non a caso qui ci sono dodici squadre sportive professionali, i "Big 5" della lega di basket NCAA e si svolgono molti eventi. Mantenendo sempre vivi gli ideali di William Penn, che dall'alto del municipio continua a guardare sereno la sua città.

Mezzo secolo di fashion a Carnaby Street


copyright www.latitudinex.it
LONDRA - Cinquant'anni e non sentirli. Carnaby Street, la via probabilmente più famosa e sicuramente più cool di Londra, compie mezzo secolo, ma sembra essere più giovane che mai. Perché moda e stile, complice il revival Mod degli anni Novanta e la concentrazione di boutique, fashion designer internazionali e concept store d’avanguardia, stanno ancora oggi di casa in questo breve tratto di strada nel cuore di Soho, a pochi passi da Regent Street e Piccadilly Circus, dove nel XVI secolo i facoltosi lord inglesi si dilettavano nella caccia alla volpe proprio al grido di "Soho!", che ha finito per divenire il nome moderno dell’intero quartiere.

Carnaby Street e le dodici stradine contigue si animarono nel secondo dopoguerra, allorché East End bombardato non era più in grado di fornire spazi adeguati al commercio degli avanzi di stoffa. Vi si insediarono quindi le manifatture clandestine per i rinomati sarti e per gli atelier-uomo della vicinissima Savile Row, che diverrà poi altrettanto famosa per il leggendario "concerto sul tetto"dei Beatles nel gennaio 1969, l’ultima apparizione dal vivo dei Fab Four. Ma il punto di svolta per Carnaby fu a metà degli anni Cinquanta, quando Bill Green vi aprì la sua boutique per gay Vince. Fu una sorta di sdoganamento della zona dal tradizionalismo e il perbenismo dominanti, e preparò la strada alla rivoluzione dei costumi del decennio successivo, in cui Londra divenne la Swinging London e Carnaby street il suo cuore pulsante. La febbre modernista dei Mods, con la sua moda fatta di caschetti, stivaletti col tacco e gilet laminati, trovò casa fra i negozi di Carnaby, così come le boutiques più audaci. Mary Quant, la stilista che inventò la minigonna, vi si stabilì immediatamente, e la strada divenne luogo d’incontro per i personaggi più in vista del periodo, dagli idoli Mods per eccellenza, gli Who di Pete Townshend e i Kinks di Ray Davies, a Rod Steward e Jimi Hendrix. I club più alla moda del decennio nacquero intorno a Carnaby Street, dall’Ad Lib frequentatissimo da Beatles e Rolling Stoner al Bag O'Nails, dove Paul McCartney conobbe la prima moglie Linda Eastman.

Tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta divenne ovviamente il punto di riferimento del Flower Power britannico, in cui dominavano colori sgargianti, pantaloni a zampa d'elefante e psichedelia, mentre negli anni Ottanta la strada dello shopping per eccellenza conobbe un periodo di declino, piegando su un'immagine trasandata e spesso banale ad uso e consumo del turismo di massa. La "rinascita" si deve al revival degli anni Novanta, che sulla scia dei successi di Blur e Oasis ha restituito a Carnaby Street un'immagine ricercata e d’avanguardia, per quanto spesso patinata, in cui domina comunque l'effetto nostalgia per la Swinging London dell'epoca Mod. Non per niente hanno fatto fortuna qui i negozi di Ben Sherman, Lambretta e Merc. Non manca, all’estremo sud della via, un fornitissimo Football Corner per gli appassionati del calcio d’Oltremanica, mentre gli unici due pub, Firkin e The Shakespeare's Head, resistono all’estremo opposto, a due passi da Great Marlborough Street. A celebrare i 50 anni di Carnaby Street, dal 28 febbraio al 1 aprile, la mostra di immagini e memorabilia "Carnaby Street: 1960-2010" presso il numero civico 38, dove verrà presentato anche l’omonimo libro, con fotografie di Philip Townsend e interviste a Amy de la Haye e Judith Clark, curatrici della mostra.

Per info www.carnaby.co.uk

26 febbraio 2010

Basilea, città di frontiera


copyright www.latitudinex.it
BASILEA - Inguainata tra le acque del Reno, Basilea, è la città più estrema della Svizzera. Al confine tra il Baden-Württemberg tedesco e l'Alsazia francese, si apre al visitatore con un fascino tutto particolare. Stretta in un cantone grande quanto la città stessa (Basel Stadt), Basilea non solo è la capitale culturale della Svizzera, la città delle duecento fontane, quella della più antica università elvetica e di un carnevale notturno di grande fascino, ma affonda le sue radici nella storia più profonda. La sua fondazione risale al 44 a.C. con Augusta Raurica per opera del generale romano Lucio Munazio Planco, celebrato con una statua all'interno del cortile del pittoresco Rathaus (consiglio cittadino detto "Roothuus" nel dialetto locale) costruito tra il 1504 e il 1514, in pietra arenaria di colore rosso scuro, nella piazza del mercato (Marktplatz). Basilea entrò a far parte della Confederazione nel 1501 e divenne l'undicesimo Stato svizzero.

Nel periodo oscuro delle lotte di religione che divise e insanguinò l'Europa fra il XV e il XVI Secolo, Basilea non diede natali a grandi riformatori, a differenza di Zurigo o Ginevra, ma si trovò ugualmente coinvolta nella disputa e divenne sede del Concilio fra il 1431 e il 1437. Ma è soprattutto l'anima precedente della città, quella medievale a emergere ovunque. Dalla cattedrale ad esempio, il Münster, la cui costruzione fu avviata nel 1019 dall'imperatore Enrico II e terminata nel 1500. La gigantesca chiesa domina la collina sul Reno e sotto le sue navate riposano le spoglie del filosofo Erasmo da Rotterdam, che a Basilea si spense nel 1536. La religione ha sempre caratterizzato la storia di questa città. Governata dai principi-vescovi dal 999 al 1529, ancora oggi il bastone, simbolo dei prelati, è presente nell'emblema cittadino. Dall'altra parte del fiume, fra il 1225 e il 1226 venne fondata la testa di ponte che prese il nome di Kleinbasel (Piccola Basilea). Il disastroso terremoto del 1356 inflisse un duro colpo alla città, ma non impedì che numerose vestigia medievali giungessero fino ai nostri giorni, così che ancora siano il simbolo di Basilea accanto alla sua moderna anima industriale.

A passeggio per la città vecchia si possono ancora ammirare le pittoresche fontane, duecento in tutto, copie delle sculture originali conservate al chiuso, che contraddistinguono i quartieri e i mestieri che li caratterizzavano. Nei percorsi pedonali, l'amministrazione ne propone cinque, caratterizzati ognuno da un tema particolare, capita così che si aprano angoli di tranquillità che non sembrano nemmeno appartenere a una grande città. Uno di questi è la minuscola Andreas Platz, uno slargo che fino a due secoli fa ospitava una cappella (Sant'Andrea appunto) circondato ancora oggi dalle antiche case degli artigiani. Siamo nei quartieri delle arti e dei mestieri e ancora oggi i nomi delle vie richiamano le corporazioni di un tempo: come Imbergässlein, o via dello zenzero, nel quartiere degli speziali. Altri nomi restano evocativi: la centralissima Barfüsserplatz, o piazza degli scalzi, prende il nome dal vicino monastero francescano. Ma ritorniamo al Reno. La vera spina dorsale cittadina che se d'inverno è solcato in larghezza dai traghetti a cavo (ce ne sono quattro ad attraversare da punti differenti) d'estate si punteggia delle teste dei bagnanti. Sì, perché a Basilea si fa il bagno nel fiume, limpido e pulito.

E poi, inconsueto aspetto per una città svizzera, la skyline. Basilea ospita due edifici caratteristici per il loro profilo verticale: la sede della Banca per i regolamenti internazionali, vicino alla stazione delle ferrovie svizzere (vista la vicinanza con la Germania, in città ne è presente anche un'altra servita solo da quelle tedesche) e la Torre della Fiera, la Messeturm, che con i suoi 105 metri è il più alto grattacielo elvetico. All'ultimo piano si può ammirare il panorama cittadino dalle vetrate del Bar Rouge, uno dei locali più trendy della Basilea moderna. La stessa fiera è uno dei poli della nuova città e ospita la Baselworld, la più importante esposizione mondiale dell'orologio e del gioiello. L'edizione 2010 si terrà dal 18 al 25 marzo. E ancora, lo sport: a Basilea gioca l'omonima squadra di calcio che da qualche anno si è messa in luce anche nelle competizioni europee e che afronta gli avversari nel St.Jakob Park, il più grande stadio svizzero, rinnovato per gli Europei del 2008. La storia dell'FC Basel racconta anche che uno dei suoi primi campioni, Joan Gamper, si trasferì in Spagna e fondò nientemeno che il Barcellona, che infatti condivide i colori con il Basilea. Ma non c'è solo il pallone, da queste parti anche il tennis dice la sua. La città ha infatti dato i natali a Roger Federer e ospita annualmente i migliori campioni Atp nel Davidoff Swiss Indoor.

Dove mangiare
Non manca la scelta a tutti i livelli e per tutti i gusti. La migliore atmosfera basilese si respira tuttavia al Zum Braunen Mutz, in Barfüsserplatz al 10. Il locale al piano terra offre piatti della cucina locale in una tipica brasserie. Un profilo più elegante, ma ugualmente accogliente, caratterizza invece il Les Gareçons, all'interno della stazione Badischer Bahnof.

Dove dormire
Il quartiere fieristico offre vicinanza al centro mista a ottimi servizi e prezzi accessibili. Un'ottima scelta è l'Hotel du Commerce, in Riehenring al 91. Da qui passano anche numerose linee tranviare dirette oltre Reno.

Il carnevale protestante (di Claudio Agostoni)

Da Cordoba a Granada, magnifica Andalusia


copyright www.latitudinex.it
MALAGA - Se New York è la città che non dorme mai, la Spagna soffre d'insonnia. E questo non solo a Barcellona e Madrid, belle e magnificamente diverse, nella lingua e nello stile, dove dalla trionfale Gran Via alle Ramblas tutto ha un sapore magico. È infatti il sud della Spagna che colpisce per questa attitudine, in città che hanno nomi e sapori antichi, ricche di storia e cultura, in una parola, in Andalusia. Il viaggio comincia da Malaga, ma una volta atterrati affittate una macchina e dirigetevi verso la prima tappa: Gibilterra. Anche se questa non è più Spagna, ma si entra nel possedimento mediterraneo del Regno Unito, si passa da qui per soddisfare la curiosità di ammirare le coste africane sotto la Rocca, ovvero la montagna che rende famoso il panorama di questo luogo, e provare a contare le navi che dall'Atlantico entrano nel Mediterraneo. Percorrendo tranquille e comode strade, la successiva tappa obbligata è Cadice.

Una veloce passeggiata nella parte vecchia, dove le strettissime vie mostrano evidenti e affascinanti segnali di antiche civiltà che sono passate da lì. Prendete poi la strada in direzione Siviglia. La magica Sevilla, fa rimanere quasi basiti di fronte allo spettacolo offerto dalla campagna spagnola che ospita un grosso segnale di modernità: centinaia di gigantesche pale eoliche che non deturpano affatto lo splendido paesaggio naturale. Siviglia non finisce mai di stupire. Qui ci si può fare accompagnare nella visita alla città a bordo di una simpatica e accogliente carrozzella. Il conducente saprà svelare tanti piccoli e curiosi segreti che questa 'metropoli' nasconde. La cattedrale è monumentale, e gli amanti della storia della navigazione potranno ammirare la tomba di Cristoforo Colombo e il barocco spagnolo, molto presente anche nelle altre chiese. Le costruzioni monumentali, appena fuori dal centro, testimoniano ancora l'Expo del 1992. La Plaza de Toros con la statua dedicata al torero Manolete, fa rivivere le grandi corride e nel silenzio sembrano echeggiare gli ole della migliaia di spettatori. Prima di lasciare Siviglia è doverosa una visita attenta all'Alcazar, l'antico palazzo reale, originariamente fortezza dei mori.

Alzatevi di buon mattino e partite alla via alla volta del cuore dell'Andalusia, prima tappa Cordoba o Cordova, vecchia capitale della Spagna musulmana. Dalla maestosità alla semplicità all'austerità, Cordoba è la città dove più di ogni altra sono visibili i segni del passato arabo. Si può cominciare con una visita alla Mezquita, moschea dalle mille colonne tutte diverse una dall'altra con un fantastico chiostro ricco di aranceti. Anche questa incantevole città si offre con grande semplicità e facilità ad essere percorsa a piedi. Consigliamo di non perdere il quartiere della Juderia, con strade scoscese e acciottolate, arricchite dai colori verdi e arancio degli alberi in contrasto con le case tutte bianche. Da Cordoba si può partire alla volta di Granada, capoluogo della regione, molto vicina alla Sierra Nevada, caratteristica che la rende ancor di più affascinante. Passeggiando per il centro, spicca anche qui evidente il segno lasciato dalla dominazione araba. Anche visitandola in inverno l'Andalusia sembra accogliere il visitatore con un clima primaverile che da queste parti arriva quasi in anticipo. Basta una giornata di sole per girare in città anche in maniche di camicia.

Tuffatevi nelle viuzze e visitate l'Alcaiceria, l'antico mercato della seta all'epoca musulmana e ora trasformato in un semplice mercato di souvenir. La sera potete poi affacciarvi, attraverso un piccolo tour, nei quartieri popolari, dove la tradizione rispetta le vecchie usanze con ristorantini e locali. Qui il clima è davvero seducente e con un po' di audacia si può tentare di ballare le antiche danze gitane che animano le vie ad ogni angolo. Ciò che rimane è tutto il fascino e la bellezza di luoghi come Plaza Bib-Rambla con la fontana dedicata al Dio Nettuno; o come la piazza dedicata alla Regina Isabella la cattolica, con il monumento fatto erigere in onore a Cristoforo Colombo. Ma il fiore all'occhiello è l'Alhambra o Palazzo dei Sultani. Un'intera città capolavoro dell'architettura islamica dove bisogna rispettare orari precisi per entrare, ma la breve attesa è totalmente ripagata dallo spettacolo che si presenta dietro ogni particolare e ogni angolo. Si riparte da Granada alla volta di Malaga, ma nella mattina è assolutamente consigliabile un ritaglio di tempo necessario alla visita del quartiere musulmano dell'Albayzin. Bastano poche ore e nel primo pomeriggio si può ritornare a Malaga non senza prima aver programmato una cena sulla spiaggia al ristorante "El Tinero", cena a base di pesce freschissimo, messo in bellavista, cucinato all'istante. Motivo in più per tornare, anche fuori stagione.

25 febbraio 2010

Shanghai, la Cina di domani


copyright www.latitudinex.it
SHANGHAI - Futuro e passato insieme. Una metropoli tutta proiettata sulla tecnologia e lo sviluppo commerciale: se non fosse per i caratteri cinesi dei manifesti luccicanti sui grattacieli si potrebbe credere di essere in una qualsiasi delle città statunitensi. Ma per fortuna il cuore vero di Shanghai rimane legato alla tradizione, ai templi e ai giardini di una millenaria cultura. Tutto qui appare sfavillante sin dalla prima occhiata. Anche perchè i cinesi ci tengono a fare buona impressione con l'Expo, dall'1 maggio al 31 ottobre 2010. Il Centro Expo, costruito con un'architettura in linea con la tutela ambientale, è l'esempio di quanto Shanghai sia concentrata sul futuro. Dopo l'esposizione mondiale, dove confluiranno tutte le novità di idee umane e milioni di turisti, il centro riunioni per le celebrazioni, centro stampa e attività, diventerà uno degli stadi permanenti più grandi e importanti del mondo, un centro conferenze internazionale di primo livello adatto ad ospitare convegni e riunioni di ogni genere. Un classico di questa Shanghai che sembra mordere il freno e volersi imporre come metropoli all'avanguardia in tutti i sensi.


L'Expo sorge in un grande parco, nella zona più recente, sulla sponda destra del fiume Huangpu che divide in due la città. Da quelle parti c'è anche la Torre Televisiva Perla d'Oriente, diventata con i grattacieli che la circondano, il simbolo e il panorama stesso della Shanghai di oggi. Colorata, illuminata, tecnologica. Lo skyliner migliore per godere di Pudong, la zona nuova, è invece proprio l'altra sponda del fiume, costeggiata dal Bund. Uno splendido e lunghissimo lungofiume, meta ideale per una passeggiata, per prendere un caffè o assaggiare qualche specialità dai tanti chioschi che si incontrano sul lato pedonale. O per fare una foto alla statua del filosofo Cheng Yi. Ha un'aria retrò, il Bund. Sembra di essere trasportati negli anni Trenta, anni d'oro per la città cinese. Lungo il chilometro e mezzo del lungofiume, scorrono infatti edifici dagli stili diversi, molti dei quali affondano le radici in quel periodo storico. E poi negozi chic di grandi firme della moda italiana, alberghi di lusso, banche e club che in quell'epoca erano ritrovo di avventurieri e miliardari, re e ambasciatori. Un tempo il Bund era una riva fangosa, occupata dai pescatori che scaricavano la loro merce, ma tra il XIX e il XX Secolo si è trasformata nella strada più ambita della Cina. Durante la rivoluzione fu visto come un simbolo dell'occupazione straniera della città e soltanto negli anni Novanta è tornato piano piano all'antico splendore. Oggi è meta ideale per partire alla scoperta di Shanghai. Da qui, ad esempio, si può affittare una delle tante barche che fanno la spola sul fiume e godere la vista della metropoli dall'acqua. Sul Bund, proprio all'altezza della statua di Cheng Yi, sbuca Nanchino Road, ovvero la strada pedonale più trafficata e commerciale del mondo. Provare ad attraversare la via in mezzo ad una folla continua è una delle esperienze più elettrizzanti che possa fare il visitatore occidentale, senza rimanere travolto dalla multidudine umana.

Vanno tutti a fare shopping perchè questa è la Shanghai versione capitalista: un susseguirsi senza fine di negozi di abbigliamento casual, di grandi magazzini dove le commesse non spiccicano una parola di inglese ma ascoltano la musica pop straniera a tutto volume, di cartelloni formato gigante illuminati. Per fortuna, incastrato tra i grattacieli di cemento e metallo e i tanti schermi enormi, rimane qualche negozietto che vende tè e prodotti tradizionali. Altrimenti sembrerebbe di essere in una New York qualunque. Dall'altro lato della Nanchino rispetto al Bund, si trova un quartiere culturale e politico con al centro la piazza del Popolo, occupata da un grandioso parco dove la mattina gli abitanti vengono a fare pratica di Tai Chi all'ombra del Palazzo del Governo. La piazza è pure punto di ritrovo per gli appassionati di musica: qui si affaccia il Teatro dell'Opera, che spesso ha ospitato artisti italiani in concerto. Alle sue spalle, sorge il Museo di Shanghai, uno dei tre musei più belli della Cina, inaugurato nel 1997. Ospita collezioni di bronzi, di sculture e di opere risalenti alle varie dinastie, anche se la Galleria delle Ceramiche e delle Porcellane rimane il fiore all'occhiello della struttura. Il Museo, dopo tanto futuro e modernità, sarà per il turista una tuffo nel passato millenario del Paese e un'ottima base di partenza per calarsi nel cuore della città vecchia. E finalmente si respira aria di Cina, di tradizioni e solide radici. A due passi dal Bund e dal fiume, circondata dai viali Renmin Lu e Zhonghua Lu, rimane la città vecchia: una sorta di quartiere di case basse dai tetti ricurvi con le tegole rosse e le lanterne alle porte che sembra lontano anni luce dalla metropoli caotica. E' uno spazio abbastanza ridotto, comodo da visitare a piedi, un reticolato di strade e stradine da scoprire, arricchito da bazar e negozietti di ogni genere.

Da non perdere il Giardino del Mandarino Yu, splendido e immortale. È il classico giardino cinese, circondato da mura che sono serpeggiate da un drago. Fu disegnato nel 1578, su ordine del mandarino Pan Yun Duan, governatore della provincia del Sichuan, per onorare i suoi genitori. E' molto grande, ma passeggiando in un percorso prestabilito che tocca padiglioni, complessi di pietre e il laghetto con le anatre mandarine, non ci si accorge della sua vastità. Ci si perde, piuttosto, nel silenzio, nell'atmosfera capace di rilassare, nella composizione particolarmente studiata di fiori, piante e rocce. Qui è rappresentato il mondo in miniatura, secondo la tradizione cinese in un gioco di prospettive, colori, forme per dare vita all'armonia dell'universo. E' un luogo che trasuda magia e fascino: una sensazione che rimane a lungo, nonostante appena varcata l'uscita si è di nuovo immersi nel bazar e si ritorni allo spirito commerciale cinese. Anche il Tempio del Buddha di Giada ha il potere di portare in un'altra epoca. Si trova in un quarteire rumoroso e poco attraente, ma è una sosta necessaria per il visitatore alla ricerca della Cina che fu. In origine era un monastero, fu costruito nel 1882 per ospitare due statue del Buddha in giada bianca portate dalla Birmania. Chiuso fino al 1980, minacciato durante la Rivoluzione Culturale, deve la sua sopravvivenza al coraggio del bonzo che era a capo del monastero: bloccò le porte del tempio e le tappezzò di ritratti del presidente Mao, che sarebbe stato un sacrilegio violare. Così il tempio oggi è potuto tornare alla bellezza originale. Abitato e servito da monaci buddisti, è composto da tre sale centrali separate da cortili: in quella di sinista c'è il Buddha sdraiato di giada bianca lungo 96 centimetri. Finita la visita si ritorna al futuro, alla Shanghai super illuminata e dall'anima mercantile fino al midollo come nei tantissimi mercati delle pulci, brulicanti di vita e di cianfrusaglie.




Come arrivare
L'unico collegamento diretto lo effettua la compagnia di bandiera cinese Air China, che vola su Milano. In alternativa si può raggiungere Shanghai con uno scalo utilizzando le maggiori compagnie europee e asiatiche, soprattutto mediorientali.

Quando andare
Shanghai ha quattro stagioni distinte con estati e inverni lunghi e mezze stagioni brevi. Per quanto proprio primavera e autunno siano sempre i periodi migliori, la destinazione è visitabile tutto l'anno in virtù del fatto che le temperature non sono estreme neanche in estate o in inverno. Dalla fine di agosto a tutto settembre, i tifoni che passano più a sud portano sulla propria scia abbondanti precipitazioni.