25 marzo 2010

Tra Zen e ciliegi a Taizo-in a Kyoto


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KYOTO - Ciliegi, iris e aceri, ma anche pietre, sassi e cascatelle. Il giardino giapponese è un'opera d'arte a sé stante. Unisce in uno stretto rapporto spiritualità, meditazione e natura e diventa un microcosmo fatto di vari elementi che creano una visione paradisiaca per gli occhi, l'olfatto e la mente. A Kyoto, poi, questa concezione Zen è verificabile in ogni angolo, strada o parco. Normalmente costruiti intorno a un tempio, i giardini della città esplodono di bellezza in ogni stagione, grazie a un attento disegno di forme e colori voluto dai giardinieri nipponici che rispettano il ritmo della natura. Come il Taizo-in. Tra fine marzo e inizio aprile c'è poi l'incanto del sakura, ovvero la fioritura dei ciliegi, che inonda viali e parchi cittadini. È il momento massimo della bellezza di Kyoto, antica capitale dell'impero per più di mille anni e nota anche come la città dei mille templi, che ha proprio come fiore simbolo quello del ciliegio. Qui a inizio primavera i petali bianchi rosati si impadroniscono di rami e alberi, insieme al rosa più forte dei pruni e a quello ricco di mille sfumature di camelie e azalee.

Il Taizo-in è situato accanto al Tempio Myoshin-ji e risale al 1337. Vanta un insieme di 47 templi decorati con dipinti della scuola Kano e molti oggetti d'arte: come la campana più antica del Giappone e il dragone dipinto sul soffitto di una delle strutture principali. Tra i templi minori aperti al pubblico vi sono il Keishun-in, noto per quattro giardini e per un albero del tè, e soprattutto Taizo-in, piccolo e delizioso. È composto da un giardino di passaggio di Kano Motonobu, famoso paesaggista del periodo Muromachi, nel Cinquecento, e da un giardino secco di Nakame Kinsaku, risalente al Novecento. Così si mettono in pratica due insegnamenti della scuola di archittettura giardiniera di Kyoto, il cuore della cultura Zen. Per giardino di paesaggio secco si intendono luoghi di meditazione accanto ai templi: sono formati da rocce scelte, senza particolare forma e collocate in un recinto di ghiaia rastrellata. Alle rocce, colui che medita può fornire l'interpretazione che desidera. Mentre per giardino di passaggio, popolari nel periodo Edo quando venivano commissionati dai signori feudali, si intende un giardino attraversato da sentieri sinuosi dove il paesaggio cambia ad ogni passo tra stagni, sentieri, sorprese e curiosità. È proprio questa parte del Taizo-in che è un trionfo della natura.

Si inizia attraversando lo stagno al centro del parco su uno dei tanti ponticelli: sulle rive a maggio esplodono gli iris e i giaggioli di ogni colore. Si continua tra sentieri tortuosi che si aprono improvvisamente in ampi spazi in un continuo gioco a nascondino tra i tronchi dei ciliegi e dei pruni in fiore. Si continua costeggiando la riva dello stagno, tra piante acquatiche e ninfee giganti, fino ad arrivare un padiglione sospeso sullo stagno da cui si ha una meravigliosa panoramica del giardino. Durante il periodo del sakura, questo lato del giardino viene illuminato per godere anche di sera dell'effetto dei ciliegi in fiore. Non solo primavera però, anche l'autunno è una stagione trionfale per il Taizo-in. Gli aceri lo tingono di toni caldi e dorati, in un tripudio di foglie rosse e gialle. In tutto questo si può vedere una delle curiosità del giardino: un bacino di pietra nascosto tra le rocce e la vegetazione. Qui l'acqua che filtra da una canna di bambù e gocciola sulle pietre, produce un suono magico e delicato, da percepire nel silenzio assoluto. Anche il giardino secco ha il suo fascino. Le rocce sono sistemate a formare un insieme che sembra un dipinto, arricchito da un elegante ponte di pietra. Lo spazio dedicato al 'moderno' in stile Zen è composto da tre piani di cascatelle che scorrono da una macchia di arbusti verdi e danno l'impressione di formare una grande cascata di montagna. Illusioni ottiche, rispetto per la natura e i suoi cicli, fiori e alberi sistemati in totale ordine anche cromatico: tutto questo porta il visitatore a restare in silenzio a contemplare il magico trionfo dell'ambiente sull'uomo.

Czech point Pilsen


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PILSEN - La birra certo, ma anche arte, tecnologia e tanta, tanta storia. Pilsen, nell'ovest della Repubblica Ceca è una città che offre un panorama completo di attrazioni pur nelle sue ridotte dimensioni, che ne esaltano lo stile di vita a misura d'uomo. Oggi la quarta città del Paese, con circa 175.000 abitanti, Pilsen fu fondata nel 1295 alla confluenza di quattro fiumi, (cioè dove il Radbuza, il Mže, l'Úslava e l'Úhlava formano il Berounka) dal re Vanceslao II di Boemia. Da allora ha visto passare eserciti e scorrere sangue sotto i suoi ponti. Le guerre di religione ceche, dette guerre hussite dal nome del riformatore rinascimentale Jan Hus, ne fecero il centro della resistenza cattolica locale. Durante la Guerra dei trent'anni, la sua posizione nel cuore dell'Europa causò inevitabilmente l'azione di ferro e fuoco sul suo territorio e così si susseguirono gli assedi dei protestanti, delle truppe imperiali e di quelle svedesi.

Nel secolo scorso, i nazisti entrarono a Pilsen nel 1939, mentre a differenza del resto del Paese, non furono le armate sovietiche a liberare la città alla fine della Seconda guerra mondiale, ma quelle americane del generale George Patton. Scopriamoli allora i tesori che Pilsen offre immutati anche nel Ventunesimo secolo. Quelli del passato soprattutto. Nel centro storico perfettamente conservato si può ammirare la Cattedrale di San Bartolomeo, monolitica costruzione gotica nel centro della piazza della Repubblica. La sua torre campanaria svetta a 102 metri dal suolo, la più alta del Paese. Su una cancellata all'esterno dell'abside la figura in metallo di un angelo è considerata un portafortuna dagli abitanti, che a forza di toccarla, l'hanno quasi consumata. A lato del duomo altri due tesori: la Colonna della peste, eretta nel 1681, opera dello scultore locale Kristian Widmann e il palazzo del municipio, disegnato dall'italiano Giovanni De Statio fra il 1554 e il 1559. E ancora, la Grande Sinagoga, la terza per dimensioni e importanza nel mondo dopo quelle di Gerusalemme e Budapest e la seconda in Europa, a testimonianza della comunità ebraica di Pilsen, fiorente fino all'inizio del secondo conflitto mondiale.

A Pilsen abbondano i musei che spaziano praticamente in ogni campo. Si va dal memorial dedicato alle truppe di liberazione americane e denominato, ancora una volta, Patton (a proposito, il generale dormì in città, insieme all'allora collega e successivamente presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower in quello che oggi è l'Hotel Continental) al Museo delle marionette, altra specialità locale. Il gusto un po' gotico - questa del resto è la città dei sotterranei misteriosi - si può assaporare anche al Muzeum Strašidel, dedicato ai mostri, alle fiabe, ai miti e alle leggende. Tutto in salsa locale. Con un profilo più classico la città presenta anche il Museo della Boemia occidentale, il Museo etnografico e due gallerie d'arte: la Zapadočeska e la Města Plzně. Ma anche la moderna tecnologia trova il suo spazio: precisamente al Techmania Science Center, ospitato all'interno dello stabilimento Škoda. Qui, con un occhio particolare alla didattica, installazioni interattive introducono al mondo della chimica e della fisica.

E poi i castelli, verie e proprie sentinelle del passato, raggiungibili con una gita fuori porta. Da vedere è soprattutto quello di Nebilovy (foto a destra), a 18 km verso sud est. Si tratta di un palazzotto in stile barocco in mezzo alla campagna costituito da due ali separate da un giardino interno. Sempre in zona anche il castello di Radyne che è invece una rovina ben conservata risalente al 1356. Da buon maniero medievale, sorge in cima a una collina e domina tutta la valle. Non lontano si trova anche la cosidetta Rotunda di San Pietro e Paolo, una costruzione circolare in pietra che è ciò che resta di una fortificazione del X Secolo. La particolarità è che si tratta della struttura più antica della Boemia occidentale. Quando poi gli abitanti di Pilsen sono stanchi di tutta questa offerta, non hanno che da andare a stendersi al sole lungo uno dei laghetti artificiali che circondano la città. Ce ne sono tutto intorno, immersi in un sistema di parchi con sentieri e piste ciclabili. Queste del resto rientrano nel circuito regionale dedicato alle due ruote, lungo ben 1.400 chilometri. Quasi tutti i laghetti hanno vere e proprie spiagge attrezzate lungo le rive e uno dei più belli è sicuramente il duplice lago Bolevec, a nord della città. Qui è stato anche attuato un progetto di miglioramento delle acque, finalista del Livcom 2008, la giuria internazionale per la vivibilità delle aree urbane.

Nello Yemen sulle onde dell'oceano Indiano


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SANA'A - Tanti sono i mezzi di trasporto che ci possono accompagnare in un viaggio: l’aereo, la macchina, il bus, la bicicletta e… il surf! Così imballata la nostra tavola in una scatola di cartone partiamo alla volta di Sana’a, capitale dello Yemen, per un viaggio che ci porterà dalla zona di Hawf, dove la costa oceanica dello Yemen cede il passo a quella dell’Oman, fino alla città di Mukalla. Usciti dall’aeroporto, la sensazione che si prova è di completo smarrimento, l’afa e l’umidità sembrano insopportabili; i nostri occhi europei vedono una cittadina caotica, polverosa, avvolta in una nebbia pesantissima. Incontriamo Khaled, la nostra guida, carichiamo i bagagli sul tetto della jeep, tiriamo un lungo respiro e partiamo.

Percorrendo non più di 20 km il paesaggio muta completamente, dal deserto più arido si passa alla montagna verde, la sensazione è quella di trovarsi in un posto unico. La lingua di asfalto scorre in una giungla verdissima e afosa, giriamo una collina, la nebbia si dirada, abbiamo il primo incontro con ciò che stiamo cercando: l’Oceano Indiano. Una stradina si insinua in un piccolo villaggio, sbuchiamo in un posto surreale, una spiaggia deserta, avvolta nella nebbia; proprio di fronte a noi capiamo che la lingua di terra è un minuscolo molo naturale che crea una piccola, ma lunga onda. Siamo stanchi, è tardi, non sarebbe un buon momento per entrare in acqua: gli squali sono una delle incognite che ci affligge fin dalla partenza, ma la voglia è irresistibile, lasciamo da parte ogni pensiero, ogni paura, sfiliamo le tavole ed entriamo. Il mattino seguente sono alcune voci a svegliarci, sono schiamazzi di un gruppo di ragazzini che stanno giocando a calcio vicino a noi, la voglia di rientrare in acqua si fa sentire, ma vogliamo esplorare e continuiamo scendere lungo la costa.

Il gusto per l’esplorazione ci spinge senza motivo su uno sterrato che ci conduce verso una spiaggia completamente deserta. Il mare è piatto, non c’è l’onda che cercavamo ma non importa! Il posto è da favola, ci fermiamo a respirare, a pensare, semplicemente a guardare. È in questa insenatura, a Ras Sharma, che durante la notte, veniamo svegliati da uno degli spettacoli più emozionanti che la natura possa offrirci: c’è la luna piena, la sabbia bianchissima a quest’ora, con questa luce, diventa di un blu profondo e frotte di tartarughe marine approdano sulla battigia perdendo la loro naturale agilità sottomarina, con movimenti lentissimi ma precisi, scavano enormi fosse e ripongono decine di uova, restiamo a bocca aperta. Giorno per giorno, ci rendiamo conto che in questa terra ogni posto è una scoperta, ogni situazione è unica; una semplice sosta per cercare dell’acqua potabile, diventa un pezzo di vita da tenere stretto, la nostra presenza è ovunque motivo di festa, il concetto di turista non esiste, siamo gli stranieri che vengono da un altro villaggio, la lingua è diversa, i vestiti anche, ci portiamo appresso due strani attrezzi, ma sorridiamo e questo basta a tutti.

Arriviamo a Mukalla, il primo vero contatto con una cittadina yemenita, la vita è frenetica, chiassosa, ma allo stesso tempo pacata e silenziosa. Il mercato del pesce ci rapisce: urla, contrattazioni, odori, il pesce più pregiato sui tavoli umidi e puzzolenti del mercato è lo squalo. Usciti dal mercato ci viene servito il pane più buono del mondo, preparato sul momento, il fuoco diventa rovente per scaldare il nostro cibo, non possiamo desiderare di meglio. Per un momento abbiamo la sensazione di rallentare, di percepire lo spirito intimo di questo posto. Uno dei Paesi più armati al mondo, paese nativo della famiglia Bin Laden, simbolo del fondamentalismo islamico, per noi non è stata altro che una terra di scoperta, di onde e di sorrisi. Armi ne abbiamo viste molte ma abbiamo deciso di non raccontarle, non per nasconderle o far finta di nulla, ma perché sono un’icona sbagliata, fuorviante per l’occhio occidentale; abbiamo voluto scoprire l’altra faccia dello Yemen, la faccia nascosta quella che per noi è quella di maggior valore.