13 novembre 2009

Vampiri e vino per Montepulciano


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MONTEPULCIANO - Non solo vino e cibo prelibato, Montepulciano è ormai diventata la terra dei vampiri. Perchè qui hanno girato le scene più importanti di "New Moon": proprio quando Bella salva Edward dal suo proposito suicida e si baciano appassionatamente. Un momento atteso da migliaia di fan in tutto il mondo e dalle centinaia di presenti sul set italiano del seguito di "Twilight". Robert Pattison e Kristen Stewart, gli idoli degli adolescenti, interpretano una sorta di Romeo e Giulietta degli anni Duemila e sullo sfondo della storia d'amore dei loro personaggi si alternano licantropi e vampiri, buoni e cattivi, come in tutte le grandi saghe.

Una famiglia di vampiri abita in Italia: sono i Volturi e nel libro vivono a Volterra, ma per esigenze di set, nel film "New Moon", si trovano a Montepulciano. Così le strade strette e rinascimentali della cittadina toscana sono diventate lo scenario ideale per far muovere Edward, Bella, la sua amica Alice e i crudeli antagonisti. Gli attori dei Volturi, come Dakota Fanning, Daniel Cudmore, Charlie Bewley sono stati accolti da ovazioni dai fan dietro le transenne, mentre Ashley Greene, ovvero Alice, ha avuto l'onere di guidare una Porsche gialla per le strade della città fino alla piazza principale. Ed è proprio Piazza Grande, un salotto bomboniera, a far da scenografia naturale alla scena clou tra Robert e Kristen.


Anche se è stata resa diversa dalla realtà per il copione, con le comparse incappucciate di rosso sulle scale del Duomo, con Pattison in attesa sulla porta del Municipio, con la Kristen che salta dentro una finta fontana di cartongesso sistemata nel centro: alla fine l'aggiunta ha pure donato alla piazza. Montepulciano si è arresa all'invasione dei fan di "Twilight" e ora organizza anche giri della zone appositamente sulle orme dei vampiri. Ma la città delle torri, luogo natale del poeta Angelo Poliziano, è una meta turistica da sempre: i visitatori stranieri non mancano di includerla nei loro viaggi in Toscana, sia per la storia sia per i panorami mozzafiato sulle vallate circonstanti e sia per i prodotti locali, primo tra tutti il "Nobile di Montepulciano", il vino rosso DOCG.


Arroccata tra la Valdichiana e la Val d'Orcia, in provincia di Siena, la città si innalza su un colle a 605 metri sul livello del mare e da qui lo sguardo si perde su una campagna bucolica, ricca di vigneti e uliveti, con le colline cretose e i cipressi che modellano il paesaggio. Abitata sin dall'epoca etrusca, con una posizione d'eccezione lungo la strada che collega la Val d'Orcia a Siena, si è vista più volte ostaggio delle guerre tra fiorentini e senesi. Dal Trecento Montepulciano ha un ruolo attivo nella regione grazie ai suoi mercanti, ai prodotti e agli scambi commerciali, godendo di particolare benessere. Da questo periodo in poi, si comincia a delineare il centro storico, circondato da mura, con interventi di architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Jacopo Barozzi, detto Vignola, che costruirono sontuose dimore patrizie e splendide chiese.

Piazza Grande, dove si sono svolte le riprese di "New Moon", è il cuore pulsante della città. Ci si arriva percorrendo strade in salita, ricche di botteghe di ogni tipo, di angoli affascinanti e improvvise balconate sulla vallata. Una volta entrati nella piazza è facile rimanere in contemplazione della perfezione geometrica del luogo. Qui ci sono anche alcuni degli edifici più importanti, come il Palazzo Comunale con la Torre rinascimentale. La sua costruzione fu iniziata nella seconda metà del 1300, ma venne finito nel Quattrocento: rivestito in travertino, è di gusto fiorentino, tanto che la facciata, proprio quella dove c'è la porta principale dove si affaccia Edward-Robert, assomiglia a Palazzo Vecchio di Firenze. All'interno del Municipio si trova un cortile con due logge, usato da Pattison come camerino per il set.

A fianco, sull'altro angolo della piazza, c'è il Duomo: nel film sul sagrato si svolge una processione mentre Bella-Kristen corre dal suo amato. La Cattedrale di Santa Assunta, con i suoi scalini e la facciata austera, venne edificata nel tardo Cinquecento, ma fu consacrata solo nel Settecento. Precedentemente c'era un'altra chiesa, risalente all'anno Mille: di questo edificio è rimasta solo la torre campanaria in conci di travertino e laterizi. Anche l'interno del Duomo è spartano ed elegante, con opere d'arte come il "Trittico dell'Assunta" a firma di Taddeo Bartolo e l'altare dei Gigli in terracotta policroma creato da Andrea Della Robbia. Di fronte al Duomo, ci sono l'antico Pozzo dei Grifi e dei Leoni e il Palazzo del Capitano del Popolo, uno degli esempi di arte gotica rimasti a Montepulciano.


Alle spalle della Cattedrale, invece, parte una deliziosa stradina che porta alla Fortezza, circondata da un giardino riposante. Qui, in questo palazzo, dove si sono svolti i casting per le comparse di e si appoggiava la produzione americana, venivano conservati i documenti della città. A Montepulciano si può girovagare scoprendo tantissime bellezze. Dalla via Ricci, storicamente dedicata alle attività artigianali, a Piazza delle Erbe, destinata al mercato, dai molteplici palazzi signorili alle numerose chiese come quella di San Francesco con un portale gotico, quella di Santa Maria dei Servi dove si può ammirare la Madonna con Il Bambino dipinta da Duccio di Boninsegna, a quella di San Bernardo con il relativo convento delle monache. Non mancano in tutta Montepulciano le soste gastronomiche per rifocillarsi, tra ristoranti, osterie e botteghe. Immancabilmente offrono il prodotto più prestigioso della zona, il "Nobile", il vino rosso tanto amato dagli attori che nel film intepretano i vampiri perchè dello stesso colore del sangue.

Lisbona, magia e saudade


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LISBONA – Non è solo la capitale del Portogallo. Lisbona è molto di più. E’ un anima triste piegata su sé stessa, cantata dal fado che risuona tra i viottoli acciottolati. Profuma di storia.
Gli odori del vecchio impero coloniale si dipanano tra la Baixa e quartiere Rossio fino a quello di Alfama, al Castelo, ad Alcantara. Il periodo migliore per visitare la capitale portoghese è senza dubbio in autunno, quando tutto si confonde tra la nebbiolina leggera che avvolge la città e i fumi delle caldarroste che profumano le vie. Il fascino di Lisbona non sono i monumenti ma la città in sé. Passeggiare per le strade e osservare è la cosa migliore da fare. Del resto la sua storia parla chiaro: fondata dai Fenici con il nome di Alis Ubbo e ribattezzata dai romani come Olisippo, da cui poi discese Lissapona e infine Lisboa. Municipio romano nel 45 a.C., fu teatro di conquiste da parte degli Arabi provenienti dal Nord Africa e restò sotto la dominazione araba fino alla riconquista del primo re del Portogallo nel XII secolo. Dalla torre di Belem, partirono numerose spedizioni che diedero vita al grande impero coloniale portoghese alle battaglie in mare con l’impero spagnolo alla conquista e alla scoperta di nuove terre. Da Lisbona partì Pedro Álvares Cabral che ne nell’aprile del 1500, sbarcò sulle coste del Brasile e che in nome della corona portoghese battezzò "Ilha da Vera Cruz". Lisbona è una città romantica, che vive sonnecchiando sul fiume Tago dominato dai sette colli su cui tra gli edifici coloniali si affaccia una statua del Cristo Redentor (simile a quella di Rio De Janiero, ma molto più piccola). Per capire davvero questa città conviene partire dalla parte bassa, per raggiungere a piedi il famoso quartiere di Alfama, cantato sapientemente dai Madredeus. Salendo verso il castello di São Jorge è possibile ammirare un meraviglioso panorama. Scendendo di nuovo potete prendere un tram per il quartiere di Belem e lì visitare il Monastero di Sao Jerónimos, fino alla torre di Belem. Un consiglio solo: lungo la strada tra il monastero e la torre sulla sinistra c’è una pasticceria (Pasteis de Belem) fermatevi a gustare uno dei tanti sublimi dolci alla crema serviti caldi e preparati secondo una ricetta segretissima che i Portoghesi non svelano a nessuno.

Il Castelo de São Jorge: Sorge sopra una collina che domina la città vecchia di Alfama, il quartiere più pittoresco di Lisbona con quella sua atmosfera decadente, unica e bellissima. Fu eretto dai Visigoti nel V Secolo e fu poi fortificato dai Mori nel IX Secolo, i quali vi aggiunsero una cinta muraria lunga 2 km. All'interno delle mura nella Camara Escura, vi è un periscopio girevole che tramite due obiettivi riflette le immagini di Lisbona.
Il Monastero dos Jerónimos: Leggenda vuole che il monastero fu costruito dove esisteva la chiesetta Ermida do Restelo, nella quale i navigatori, trascorrevano in preghiera la notte precedente alla partenza per il viaggio che li portò alla scoperta della rotta per l'India. La costruzione risale al 1502 ed è in stile manuelino. Ospita al suo interno le memorie di Vasco da Gama, Luíz Vaz de Camões, Amália Rodrigues, Fernando Pessoa, solo per citarne alcuni.
La Torre di Belém: E'il punto da dove Vasco da Gama partì alla conquista dell'impero, sulla rotte per l’India. Sorge sulle rive del fiume Tago ed è un monumento in stile manuelino che rievoca le gesta dei grandi esploratori portoghesi.
Altre cose da vedere
Il Cristo Rei: Una riproduzione in tono minore del Cristo Redentore (Rio de Janeiro), eretto come ringraziamento per il mancato coinvolgimento del Portogallo nella seconda guerra mondiale.
Il Giardino Botanico e il nuovissimo ed esaltante quartiere di Expo98.
Le piazze: Marquês de Pombal, Martim Moniz, il Rossio, la Praça do Comércio.

Lisbona, Quello che il turista deve vedere


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Lisbona è la testimonianza più organica e completa di All about Portugal, una serie di pubblicazioni che Fernando Pessoa (1888-1935) intendeva scrivere sulla propria terra. Agile – poco più di cento pagine – ma allo stesso tempo ricca di particolari, la guida della capitale del Portogallo scritta da una delle sue glorie nazionali è una lettura fondamentale. Fondamentale specialmente per chi, tornato a casa, desideri rivivere, amplificandole, le emozioni provate davanti ai merletti di pietra del Mosteiro dos Jerónimos, all’azzurro del Tago, all’imponenza del Carmo e alla vastità della Praça do Comércio.


Attraverso due filtri d’eccezione, come la retina e l’animo di un poeta innamorato del proprio Paese, la visita di “questa meravigliosa Lisbona” inizia dal mare, dal punto in cui si erge, mozzandoci il fiato, la bianca Torre di Belém, capolavoro dell’arte manuelina, e prosegue lungo le vie e i viali che si snodano per i sette colli su cui, come Roma, sorge la città.
“Si estende su sette colli – altrettanti punti di osservazione dai quali si possono godere i panorami più splendidi – il vasto, irregolare e multicolore insieme di edifici che forma Lisbona. Per il viaggiatore che vi giunga dal mare, Lisbona, anche vista in lontananza, sorge come una bella visione di sogno, stagliata contro un cielo azzurro splendente che il sole allieta con il suo oro. E le cupole, i monumenti, gli antichi castelli appena al di sopra dell’insieme di edifici, sono come lontani araldi di quel luogo delizioso, di quella regione benedetta”.

Per quanto Pessoa abbia cercato di illustrare con equilibrio le maggiori attrazioni di Lisbona al turista degli anni Venti – l’opera è stata scritta nel 1925 – nella lettura emergono talvolta indizi delle sue preferenze. Impossibile non notare la quantità di dettagli con i quali descrive il Museo Nazionale di Arte Contemporanea, o le frasi appassionate con cui parla della zona del Chiado. Proprio in quella parte della città, diversi decenni più tardi (1988), sarebbe stata posta la statua bronzea del poeta che, raffigurato su una sedia a gambe accavallate, si confonde tra gli avventori seduti ai tavoli del vicino Café da Brasileira, di cui Pessoa, in vita, fu un frequentatore assiduo.

Per dovere di completezza, l’autore accenna anche ai monumenti che, ai suoi tempi, erano ancora in costruzione. Ad esempio, quello dedicato al Marchese de Pombal, colui che diede un volto nuovo alla Baixa dopo il terremoto disastroso del 1755, e che oggi domina la praça che ne porta il nome dall’alto dei suoi trentasei metri.

12 novembre 2009

L'estate indiana del Nord America


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La chiamano "Estate Indiana". E' un tripudio di colori accesi con le foreste e i boschi incendiati dal rosso, dal giallo, dall'arancione e dall'oro delle foglie d'autunno. E' una caratteristica di tutto il Nord America, dal New England al Vermont, ma è in Canada, nella provincia francese del Quebec che vive il massimo splendore, dove la natura è lasciata libera di celebrarsi. Sono le ultime due settimane di settembre e le prime due di ottobre a regalare questo spettacolo. In Quebec, soprattutto nelle zone di Mauricie, Laurentides e Charlevoix, le immense distese di aceri assumono sfumature calde e suggestive.


E' l'autunno dai colori tipici, in più addolcito da una temperatura mite intorno ai 20 gradi. Per questo si chiama Estate Indiana: questa stagione viene chiamata così sin dal XVIII Secolo in Pennsylvania e in Canada. L'origine dell'espressione viene spesso ricondotta al fatto che i pellerossa, grazie alla clemenza del tempo, si preparavano al letargo invernale, costruivano i rifugi, pensavano al cibo e cambiavanano le tende. Comunque sia, tra settembre ed ottobre il Quebec, già fantastico in ogni periodo dell'anno, diventa ancora più incredibile. I vigneti e i frutteti sono in apoteosi, le oche delle nevi fanno la loro sosta migratoria sulle rive del San Lorenzo, lo sciroppo d'acero viene prodotto nelle sucrerie, gli orsi e i castori diventano facilmente avvistabili nei boschi dorati, le zucche arancioni giacciono sui campi.


Sembra una scenografia da favola, servita dai monti Laurenziane e Appalachi. L'ideale è godersi questo arcobaleno di tinte forti soggiornando in riva ad un lago o nei comodi lodge sparsi nelle foreste del Quebec. Tante le attrazioni: si può fare canoa e kayak lungo i fiumi, equitazione, pesca, bicicletta, prendere una seggiovia e salire sul panorama più alto per avere una visione globale, giocare a golf o semplicemente passeggiare con il naso all'insù perso tra i profumi selvatici. Non mancano le feste e le sagre: dal festival dei miti locali al tradizionale Grand Prix Des Couleurs alla Festa della cacciagione e del vino per i bongustai. Tra le attività più curiose e legate a doppio filo alla natura, di cui si assiste al trionfo, sono una visita alla fattoria dei bisonti per conoscere meglio questi animali nella zona di Mauricie e andar per meleti.


Le mele vengono raccolte proprio in questo periodo nel sud del Quebec, tra Montreal e la frontiera Usa. Spesso le case vinicole offrono degustazioni anche dei loro dolci, di sidri e vini prodotti con mele e uve raccolte in inverno quando i chicchi sono gelati. Sicuramente, però, la curiosità più affascinante è il volo delle oche delle nevi. Tra settembre e ottobre centinaia di questi uccelli migratori si fermano lungo il fiume San Lorenzo per una sosta nel loro viaggio dal Grande Nord alle coste degli Stati Uniti dove sverneranno. Maestosi e superbi, gli stormi a distesa si intersecano con il fogliame vermiglio e giallo delle foreste. Una visione paradisiaca. E se poi si è stanchi di così tanta natura si può sempre fare un salto a Quebec City, deliziosa cittadina dal cuore antico, ancora preservata dalle mura e da stradine dall'atmosfera retrò e tipicamente francese.

India per signorine


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Una cosa va detta subito: l'India per signorine non esiste. L'India è posto per stomaci forti, nervi d’acciaio, convinzione di ferro, menti elastiche, pazienza infinita e robuste, robustissime difese immunitarie. Per chi è "signorina" nella testa, oltre che nell’aspetto, il viaggio in India può essere devastante. Eppure, chi ha visto questo Paese una volta è difficile che non ci ritorni. Magia del subcontinente indiano. Tra chi, pur avendo esperito l’India diverse volte, ha deciso di rifarlo, c’è la giornalista e sceneggiatrice Rosa Matteucci, che ha intrapreso il viaggio con uno scopo preciso: smettere di fumare o, meglio, per farsi abbracciare dalla santona Amma nel tentativo di elevare il suo spirito abbrutito "e così dismettere il sozzo vizio del tabagismo".

Si sa, il fumo è una brutta bestia e chi dice di voler smettere non sempre è convinto fino in fondo. Forse è per questo che il viaggio della Matteucci è disastroso sin dal suo inizio. D’altra parte, non essendo per signorine, l’India non ti accoglie con riguardi e ipocrisie, ma ti viene addosso come una valanga, mostrandosi subito per quello che è: un’orripilante e affascinante "caciara cosmica", dove storpi, lebbrosi, mutilati, templi magnifici, cultori di cinema, missioni salesiane, tacchini e maiali si mischiano a divinità antropomorfe, cavadenti ambulanti, ingegneri informatici, vedove sfuggite al rogo, scimmie, cacche bovine e paioli di riso bollito. Più l’autrice s’inoltra nel Kerala, più la fame, la sete, il caldo e le zanzare si fanno insopportabili e l’esigenza di igiene (nell’accezione più occidentale possibile) stringente.

Il viaggio non ha sortito gli effetti sperati, né è avvenuta la catarsi. L’India e la sua dimensione fuori dal tempo – in India il tempo non è misurabile, "ma è vissuto nella sua dimensione ontologica" – hanno vinto. "India per signorine" non rivela elementi nuovi o sconosciuti del Paese, ma lo ritrae utilizzando un ingrediente poco diffuso: l’onestà (come si fa in pochi giorni ad abituarsi a un posto tanto diverso dal proprio?) e con una invidiabile autoironia. Esilaranti i passi in cui, per dare un’idea di quello che ha davanti agli occhi, la Matteucci azzarda paragoni con paesaggi e usanze più familiari al lettore medio: l’edificio più importante dell’ashram di Amma "sembra l’ala nuova dell’ospedale di Terni"; la festa in onore di Shiva è "una cosa tipo la processione del Corpus Domini a Orvieto, con corteo storico e fiera paesana"; l’Arunachala è una collina non troppo dissimile dal nostro Monte Peglia; e Kanyakumari, l’estrema punta del subcontinente, è "tipo Reggio Calabria da noi".

11 novembre 2009

Kurdistan, l'altro Iraq


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ERBIL – Da lontano la cittadella sulla collina sembra un enorme castello con mura merlate lunghe centinaia di metri. Oggi è quello che resta del primitivo insediamento di Erbil, città che passa per essere il più antico centro umano continuamente abitato. La capitale del Kurdistan iracheno, nota anche come Arbil, o Irbil su alcune mappe, risale all'epoca assira e conta qualcosa come settemila anni di storia. Da queste parti, tanto per restare in argomento, nella battaglia di Arbela, nel 331 avanti Cristo, l'esercito di Alessandro Magno diede il definitivo scossone all'impero persiano, mettendo in fuga le armate di Dario III. Oggi il nucleo storico della cittadella è ancora visitabile, ma è una città morta, abbandonata e in rovina, e ospita solo un paio di famiglie, tanto per la continuità storica, insieme a due musei.

Erbil è oggi la terza città irachena dopo Baghdad e Mosul. Ma è anche il cuore della zona più settentrionale dell'Iraq, facente parte della macroregione del Kurdistan, uno stato inesistente, forte solo della sua popolazione, al momento distribuita fra Turchia, Siria, Iran e lo stesso Iraq. Dopo l'invasione a guida statunitense del 2003, le sorti dei curdi iracheni, precedentemente brutalizzati da Saddam Hussein, è notevolmente migliorata. Non solo alla guida di tutto l'Iraq c'è oggi un presidente di origine curda - Jalal Talabani - ma il Kurdistan iracheno ha anche ottenuto un'autonomia sempre maggiore e gode inoltre di una relativa pace rispetto al resto del Paese ancora dilaniato dalla guerra. Per questa ragione da queste parti la gente non si definisce irachena e l'unica bandiera che si può vedere ovunque è il tricolore curdo con il sole giallo. A guardia di questa tranquillità c'è l'esercito Peshmerga, milizia locale che ha il preciso compito di tenere il terrorismo lontano dalle città e dalle strade di collegamento della regione. Non è sorprendente quindi che persino in questo improbabile angolo di mondo si stia pensando di rivitalizzare il turismo. Visitare oggi il Kurdistan iracheno è un'impresa possibile anche in proprio, con un minimo di accortezza. Il viaggio riserverà più di una piacevole sorpresa, a cominciare dall'accoglienza da parte della gente locale, cortese e curiosa verso i viaggiatori, fino alla bellezza dei paesaggi, sulle montagne che portano alla frontiera con l'Iran.

Le porte d'ingresso a questa regione sono fondamentalmente due: Erbil, raggiungibile in aereo dall'Europa, o il posto di frontiera con la Turchia, prevedendo un avvicinamento via terra. La capitale vanta un animatissimo bazar coperto, dove in alcuni momenti della giornata sembra si sia dato appuntamento l'intero milione di abitanti della città. Fra le sue stradine si trova praticamente di tutto: dal cibo all'abbigliamento tradizionale, alle minuscole botteghe degli orafi. Da visitare in città anche la rovina del minareto pendente sheikh Chooli, risalente all'XI Secolo, il grandioso parco Sami Abdul Raman, che rappresenta una picevole oasi verde e la nuova moschea Jalil Khayat. Lasciata la caotica Erbil, l'itinerario più suggestivo è lungo la cosiddetta Hamilton Road, nota presso i locali anche come Haji Omaran. Qui negli anni Venti del Novecento, l'ingegnere neozelandese Archibald Milne Hamilton aprì per conto dell'esercito britannico un tratto di strada per congiungere i possedimenti della corona in Palestina e quelli in India. E lo fece in un paesaggio spettacolare fra canyon e vette scoscese. Lungo la strada si può ammirare anche la cascata Gali Hali Beg, che forma un salto di una trentina di metri.

Percorrendo la Haji Homaran, la soluzione migliore per alloggiare è fare tappa nella cittadina di Shaqlawa, a un'ora di strada da Erbil. Grande poco più di un villaggio, Shaqlawa sta diventando rapidamente una meta vacanziera per gli stessi iracheni ed è dotata di una buona scelta di hotel e ristoranti. Un altro itinerario percorribile da Erbil, conduce verso sud, a Suleimanya. La seconda città del Kurdistan iracheno è un centro universitario e culturale molto vivo, nonostante la sua giovane età (risale solo al XVIII Secolo). La parte più piacevole sono i suoi splendidi parchi pubblici, come il parco Azadi o quello municipale, o ancora il parco Sarchnar. A nord di Erbil si può arrivare fino alla frontiera con la Turchia, visitando centri più piccoli, come Dohuk e Zakho.

Lo stadio al centro del mondo


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MACAPA’ - La linea dell'Equatore lo taglia perfettamente a metà, dividendolo in due parti uguali e complementari. Esattamente lì, dove passa la linea di metà campo, dove la palla aspetta di essere calciata. Nell'emisfero sud o nord non importa. Lo 'Zerao' di Macapà, capitale del penultimo stato del nordest del Brasile, è l'unico stadio al mondo dove la linea del parallelo zero divide in due centrocampo, fuggendo attraverso le tribune del lato ovest in quella linea perfetta e immaginaria che accarezza il mondo circumnavigandolo. Lo Stadio è registrato come "Estadio Milton De Sousa Correa" è stato inaugurato il 17 ottobre del 1990.

Le autorità lo hanno dedicato ad Ayrton Senna. Gli abitanti lo chiamano con vari nomignoli, stadio dei due emisferi, stadio del centro del mondo, ma per tutto è lo Zerao. Il grande zero. La capienza massima è di 5000 spettatori, anche se le autorità giurano che il giorno dell'inaugurazione ce n'erano più di 10.000 a veder giocare Zico e la rappresentativa dei migliori giocatori della nazionale verde oro contro la squadra locale. Al lancio della monetina l'arbitro domanda ai capitani delle squadre: palla o emisfero? Dopo l'inaugurazione la ditta che faceva i lavori si fermò di colpo. I soldi erano finiti. Le promesse, della costruzione delle tribune del lato corto, non sono mai state onorate. E' uno stadio monco. Restano solo i piloni di cemento abbandonati alla furia del Rio delle Amazzoni che esonda spesso allagando lo Zerao. Restano le tribune laterali dipinte di un giallo smagliante. Il tetto è volato via durante una giornata di vento. Più che uno stadio somiglia ad una reliquia che gli abitanti di Macapà custodiscono con devozione. Dalle tribune lo sguardo si perde oltre il verde l'Amazzonia, in quel verde cangiante della foresta pluviale. Le 12 squadre della città, si dividono il terreno di gioco nel campionato dello stato dell'Amapà. Un numero esorbitante di società professionistiche, circa una per ogni 37mila abitanti.

Gli abitanti di Macapà sono fieri del loro stadio, ma ai loro occhi quella linea equatoriale che da immaginaria diventa visibile, ben marcata sul terreno dal gesso bianco che disegna il campo di calcio, non è solo un gioco che divide l'emisfero australe da quello boreale. E' la linea che divide il nord dal sud del mondo, l'America dal SudAmerica, la ricchezza dalla povertà. Dove, per un capriccio della latitudine, per un paradosso ai limiti dell'assurdo, la parte più ricca di natura, risorse, foresta, è quella meno sviluppata dell'emisfero. Come sei il continente fosse capovolto, messo a testa in giù. Palla o emisfero?, chiede dunque l'arbitro prima di una partita. Lo Zerao racchiude in sé tutta l'essenza di questo stato e della sua capitale. Forse del Brasile intero. Il suffisso accrescitivo (ao) che in italiano equivarrebbe a dire (one) ben si sposa con il niente. Forse, solo in questa città, che sorge nel nulla e che si nasconde ai depliant patinati delle mete turistiche, poteva essere costruito uno stadio come questo. Un grande stadio. Uno stadio zero.

10 novembre 2009

Cinque domande a Lucilla Agosti



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Milanese di nascita, Lucilla Agosti è attrice, conduttrice televisiva e radiofonica. Al cinema l'abbiamo vista in "La febbre" (2005), di Alessandro D'Alatri, "Il mercante di pietre" (2006), di Renzo Martinelli, e "Il seme della discordia" (2008), di Pappi Corsicato. Ai microfoni ha condotto, su Radio Monte Carlo, "RMC Magazine" insieme a Max Venegoni. Fra i mille lavori televisivi ricordiamo invece "Buona la prima" con Ale e Franz (Italia 1) e il "DopoFestival" al Festival di Sanremo 2008 dove ha affiancato Elio e le Storie Tese. Su All Music è stata protagonista del comedy-talk "Bionda anomala". Ancora in Rai, ma sulla seconda rete, ha condotto "Italian Academy 2", mentre al momento è impegnata con Alessandro Rostagno alla guida di "Scalo 76 Talent", show dedicato alla caccia di nuovi talenti in varie forme di spettacolo e intrattenimento.


Come si prepara per un viaggio?
Per scegliere la meta solitamente sfoglio riviste di viaggio finché non trovo un luogo che mi comunichi qualcosa in quel momento. Una volta scelta la destinazione cerco poi di informarmi su ogni aspetto geografico e culturale. Ad esempio ho una vera passione per le carte geografiche, mi piace calcolare le distanze, trovare i percorsi migliori, organizzare gli spostamenti con i trasporti locali. Ecco, una parte fondamentale della mia preparazione è svolta in questo modo. Ovviamente uso anche altri "strumenti" come ad esempio le guide di viaggio più specializzate, dalla Lonely Planet alla Guide du Routard.

Cosa non dimentica mai di mettere in valigia?
Quello che veramente non manca mai è un libro. Magari non necessariamente a tema col mio viaggio, ma la lettura è per me davvero importante. Un'altra cosa, assolutamente pratica, sono i miei pantaloni thailandesi: comodi, ampi e... colorati.

Il viaggio che ricorda di più e che porta nel cuore
Ne cito due e per motivi diversi. Ricordo il viaggio in Laos, il primo che ho fatto da sola, perché - proprio per questa ragione - ho assaporato un diverso scorrere del tempo. Quando sei solo in viaggio gestisci il tempo in modo più personale. Un altro viaggio importante è stato poi l'ultimo che ho fatto, in Madagascar. Su quell'isola ho provato un senso di serenità assoluta. Nei volti dei malgasci posso dire che ci sia il sapore di questa nazione: africana, ma non del tutto e anche molto orientale per le influenze avute in passato.

La colonna sonora ideale per questi due viaggi?
Penso che ogni musica vada bene in qualsiasi luogo perché collegata a un percorso interiore. Però faccio anche delle eccezioni. in Marocco ad esempio ho provato la sensazione di accoppiare uno stile a un paesaggio, pur con le dovute libertà. Infatti ascoltavo un tris di gruppi americani: I Woven Hand, i Calexico e i Giant Sand. Soprattutto i primi due, originari dell'Arizona, richiamavano nel loro sound paesaggi desertici. Certo altre sabbie in un altro continente, ma l'atmosfera era perfetta.

Il cibo più particolare che ha assaggiato
Io sono curiosa per natura e anche nella cucina cerco di assaggiare di tutto. Però una volta ho perso un'occasione di arricchimento e ancora me ne pento. Ero in Cambogia e al mercato della capitale, Phnom Penh, vendevano ragni giganteschi che i locali mangiavano con aria soddisfatta. Ecco, io non ce l'ho fatta, ma poi ho anche pensato che noi mangiamo i granchi, crostacei con zampe sporgenti, non molto lontani nell'aspetto da un ragno. In Madagascar ho assaggiato anche lo spezzatino di pipistrello.

Foto di Fabrizio Marchesi per Photomovie
Trucco e capelli di Rosita Grazioli per Pois
Abito di Parosh

Cinque domande a Alessandro Bergonzoni



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Attore, scrittore, regista, sceneggiatore, pittore, scultore. Difficile descrivere l'estro di Alessandro Bergonzoni se non definendolo un Artista con la A maiuscola. Un genio della parola, un funambolo del non senso, che osserva la realtà e la smonta in mille pezzi, per ricomporla mettendone in luce gli aspetti più assurdi, ironici, paradossali, divertenti. Come fosse in possesso delle "istruzioni per l'uso" della lingua italiana, ne conosce le più profonde potenzialità, e se ne prende gioco. Nato a Bologna nel 1958, si laurea in Legge, ma abbandona presto la carriera da giurista per dedicarsi al teatro e alla scrittura. Dal 1982 a oggi è stato protagonista di spettacoli teatrali, televisivi, radiofonici, e autore di libri e sceneggiature basati sul rifiuto del reale e l'esplorazione dell'assurdo. Negli ultimi anni ha dato sfogo alla passione per l'arte, dedicandosi al disegno e alla scultura. È di questi giorni l'uscita del suo primo libro sul tema, edito da Libri Scheiwiller: "Bastasse Grondare", una raccolta di segni, disegni e scritti che rappresenta un punto di arrivo e di ripartenza della sua personale ricerca artistica.

Come si prepara per un viaggio?
Si prepara a propria insaputa, cercando di non chiedersi e di non chiedere, lasciando alla sorpresa la pianificazione, all’insaputa il progetto, e ci si spia.

Cosa non dimentica mai di mettere in valigia?
Partendo dal concetto che per viaggiare bisogna montarsi la testa, metto la testa comprensiva di occhi e orecchie, bocca e naso. Per quanto riguarda i libri, lo spazzolino e le guide, ci pensano loro a entrarci.

Il viaggio che ricorda di più e che porta nel cuore?
Sicuramente la prima esperienza in barca a vela, all’isola del Giglio. In Kenya, da ragazzo con la scuola, e i viaggi fantastici mai fatti ma continuamente vissuti nel presente, nel passato e nel futuro.

La musica che metterebbe nel suo iPod per rivivere le emozioni di quel viaggio?
In Kenya ascoltavo Barry White e rimetterei la sua musica. Ma senza troppe nostalgie, anche perché la musica la fanno i posti e non certo l’iPod.

Il cibo più particolare che ha assaggiato?
Sabbia del deserto, e vento quando ci rimasi davanti a bocca aperta.

9 novembre 2009

Lorella Cuccarini, la mia Africa


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LILONGWE - E' ancora la più amata dagli italiani, ma Lorella Cuccarini rimane sempre una persona umile, allegra e simpatica. Soprattutto pronta a mettere la sua popolarità e la sua anima al servizio dei più deboli, in questo caso le mamme e i bambini del Malawi. L'ha fatto durante alcuni viaggi in Africa nell'ambito di "Trenta ore per la vita", la campagna di sensibilizzazione che ha creato. Intanto, ha ripreso il lavoro di conduttrice e showgirl con "Vuoi ballare con me?" in onda su Sky.



Sono affetta da mal d'Africa, ma non quello che colpisce i turisti normali. Mi è venuto per altri motivi, per gli sguardi della gente e per le difficoltà che affrontano: questi mi sono rimasti nel cuore. Sono i ricordi più vividi del mio viaggio in Malawi per "Trenta ore per la vita", la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi per i bambini e le mamme più deboli, di cui sono madrina. Non è la prima volta che vado in Africa, sono stata già in Congo e in Mozambico, sempre per lo stesso progetto. Siamo andati a portare kit farmacologici che consentono di far nascere bimbi sani da madri sieropositive e di farli arrivare senza problemi sanitari ai diciotto mesi, anche attraverso un centro nutrizionale, allestito dalla Comunità di Sant'Edigio. Dopo il Mozabico, dove ho avuto la gioia di rincontrare bambini che avevamo aiutato a nascere lo scorso anno e che io chiamo i "figli di Trenta ore per la vita", sono stata in Malawi sempre con un gruppo di medici africani che si occupano localmente dell'associazione di cui sono socio fondatore.


Quando sono arrivata in questo paese poverissimo, sono rimasta scioccata da un effetto stridente: il nostro albergo, in stile inglese, era bello e aveva un sacco di depliant di luoghi meravigliosi, di parchi naturali e animali in libertà, tutte cose prettamente turistiche. Io invece sono andata in giro per i villaggi, dove spesso le case sono baracche, a parlare e accudire le donne incinte, quelle che avevano appena partorito e quelle con i bimbi piccoli: rappresentano una forza per questo Paese, sono state trattate come rifiuti solo perchè malate, ma qui riacquistano la loro identità, diventano per causa di forza maggiore culturalmente più evolute e aiutano a diffondere un messaggio positivo. Qui le condizioni sono difficili anche perchè è una zona dove piove molto e in certi periodi i medici non riescono nemmeno a raggiungere le pazienti, dove la gente non ha nemmeno da mangiare e i volontari consegnano cibo almeno una volta a settimana. Per questo i progetti dei centri Dream sono importantissimi: controllano che riescano a mangiare e a fare gli antivirali, occupandosi di mamma e bimbo fino ai suoi diciotto mesi quando diventa più forte.

Ho seguito da vicino sia le cure mediche, sia la consegna del cibo. Sono enormi emozioni. Nel cuore mi è rimasta Ortensia, una signora di sessant'anni che deve allevare il nipote di due anni: la figlia è morta poco dopo averlo dato alla luce, sano. Solo che Ortensia non ha risorse: mi raccontava che a volte non riesce a mettere insieme i due euro necessari per comprare l'acqua potabile dal vicino ed è costretta a bere quella piovana e inquinata. Solo due euro, come un nostro cappuccino e cornetto, quando qui cambiano la vita. Sono impatti e ricordi che mutano per sempre la scala dei valori di un occidentale. Questa è la mia vera Africa. Quando parti dall'Italia, sei pronta ad affrontare situazioni del genere, ti porti dietro una carica emozionale e l'ottimismo per essere grintosa e propositiva per il futuro. Anche così aiuti queste persone, diffondendo un nuovo messaggio e facendo vedere un altro lato dell'Africa. Praticamente, invece, mi sono organizzata portandomi dietro una valigia di gallette di riso: sapevo che non c'era da mangiare, che non esistono bar o ristoranti, così mi sono attrezzata.

Così come l'acqua: la compravo in albergo prima di uscire per le mie visite. Sono stati dieci giorni intensi, a contatto con i medici africani e i volontari: parlavamo inglese tra noi e c'era una ragazza che faceva da traduttrice con la gente del posto, che ha una lingua complicatissima e incomprensibile. Dopo un paio di viaggi in questi Paesi, impari ad affrontare la situazione e quando ci ritornerò, il prossimo anno, sarò ancora più brava nell'organizzarmi.

A Tel Aviv autunno con il centenario


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TEL AVIV – Un viaggio a Tel Aviv in autunno inoltrato è un'occasione per conoscere una città che si sta proponendo come la nuova meta turistica del Mediterraneo orientale, approfittando anche del clima mite. Farlo quest'anno ha poi un sapore particolare per i festeggiamenti del centenario ancora in atto che si protrarranno fino a dicembre. Fondata nel 1909 come insediamento agricolo da 66 famiglie, l'originaria Akhuzat Bayit prese poi il nome attuale l'anno seguente. Oggi Tel Aviv, soprannominata dai suoi abitanti "La città che non si ferma mai" è un centro cosmopolita attivo 24 ore al giorno, cuore dell’economia e della cultura nazionali, rigoglioso di cultura e divertimento con magnifiche spiagge, mercati tradizionali, esclusivi centri commerciali e una vita notturna frenetica.
La storia di Tel Aviv è poi ben più antica di un secolo: la sua linea di confine più a sud infatti, il porto di Jaffa (Yafo), vanta ben 5.000 anni di esistenza. L'atmosfera dell'importante compleanno poi si può ancora respirare per le strade, complice il clima mite che favorisce la vita all'aperto e la frequentazione delle spiagge. Su queste, che corrono per quasi quindici chilometri a orlare la corniche della città, le grigliate sono un rito rinnovato praticamente tutte le sere, prima di tuffarsi nella vita dei caffè e dei locali che restano aperti fino all'alba. L'anima moderna di Tel Aviv emerge dalla sua architettura che ha subito l’influenza di numerose correnti, tra cui la Bauhaus tedesca, le cui opere sono caratterizzate da forme geometriche pulite e asimmetriche, che si diffuse nella zona intorno agli anni Trenta del Novecento, concentrandosi in quelle che sono le attuali aree di Rothschild Boulevard e Dizengoff Center.

Ma esiste anche un nucleo più tradizionale, la già citata Akhuzat Bayit, che si estende da Montifiori Street a Yehuda HaLevi Street e che costituisce il nucleo storico della città, affiancato a ovest da Neve Tzedek. Questo è stato il primo quartiere ebraico esterno a Jaffa. Costituito nel 1887 e completamente rinnovato nel 1980, oggi è un luogo affascinante dove sono rimaste intatte molte delle costruzioni originali. Nei dintorni di Akhuzat Bayit, sono sorti numerosi palazzi nell’eclettico stile diffusosi qui negli anni Venti del Novecento, visibile a Nakhlat Binyamin e all’interno del "cuore della città", l’area triangolare che si estende tra Shenkin Street, Rothschild Boulevard e Allenby Street.



Agli amanti della cultura la città offre oltre 20 musei. I principali sono il Museo della Terra di Israele Eretz e il Museo d’Arte. Tra gli altri ricordiamo il Museo della Diaspora, delle Forze Armate Israeliane (Idf), il museo di Etzel, dedicato all’omonima organizzazione militare, il Museo dell’Haganah, l’istituzione da cui ebbe origine l’Esercito di Israele, il Museo della Palmach, l’élite della stessa Haganah, il Museo di Lechi, dedicato all’omonima organizzazione per l’indipendenza, e il Museo dedicato a Nachum Guttman, artista e scrittore nato in Romania, tra i primi allievi dell’Accadema di Gerusalemme, oltre che combattente nella Legione Ebraica durante la prima guerra mondiale. Tel Aviv è inoltre sede dell’Orchestra Filarmonica di Israele e della Compagnia Israeliana dell’Opera, oltre che della maggior parte di compagnie di danza e teatro nazionali. Da ricordare inoltre la casa del poeta e saggista ebreo di origine ucraina Chaim Nachman Bialik, dello statista David Ben Gurion, di Meir Dizengoff, protagonista del sionismo, il vecchio cimitero in Trumpeldor Street e la casa-museo dell’artista Rubin Reuven.

Un viaggio a Tel Aviv non può inoltre prescindere da una visita all'adiacente Jaffa. Le sue case di pietra e gli stretti vicoli ospitano oggi il pittoresco quartiere degli artisti e il centro turistico. Tra le sue attrazioni, vi è Gan HaPisga, il Summit Garden, con i suoi ristoranti, le gallerie, la passeggiata lungo il mare e le mura della città vecchia, il porto di pesca e il centro turistico nella vecchia corte. Vi sono anche alcuni importanti luoghi della cultura cristiana, tra cui la chiesa di San Pietro, del XVII Secolo, la casa di Simone il conciatore e la tomba di Tabitha, la donna che Pietro resuscitò dalla morte. Nei dintorni di Jaffa si trovano la torre dell’orologio di epoca ottomana, un vivace mercato delle pulci, e il quartiere di Ajami.




Appuntamenti d'autunno:

Danza
Il 16 e il 17 novembre Tel Aviv rinnova il suo appuntamento con il Festival della Danza. Giunto al suo terzo appuntamento, la manifestazione si inserisce ancora una volta nelle celebrazioni per i cento anni dedicati alla città più cosmopolita e moderna di tutta Israele. Si esibiranno ben 34 differenti compagnie provenienti da 16 differenti Paesi, tra cui l’Hubbard Street Dance Chicago, la Barak Marshall e la Compagnia Nazionale di Balletto Spagnola.
Info

Arte attraverso la città
Dal 9 settembre 2009 Tel Aviv e Jaffa hanno lanciato una biennale d’arte internazionale, principale evento artistico tra i festeggiamenti del centenario. La kermesse comprende decine di spettacoli, mostre e istallazioni, in varie parti della città. Artisti israeliani e stranieri saranno rappresentati in questo evento che dovrebbe far parte della scena dell’arte mediterranea, insieme alle biennali di Istanbul e Atene. Ingresso gratuito.