18 marzo 2010

Gli incappucciati di Siviglia


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SIVIGLIA - Incappucciati, fiori e misteri. La Settimana Santa è un rito imperdibile in tutta l'Andalusia, specialmente a Siviglia. L'intera città si trasforma per questa tradizione religiosa e folkloristica che diventa anche una festa collettiva, tra solennità e fervore. Dovunque i balconi delle case si vestono di drappi colorati, le strade si rimpiccioliscono per far posto alle transenne e alle panche, i marciapiedi sono decorati da milioni di composizioni floreali. A Siviglia, la Settimana Santa è uno degli eventi più importanti: la sua origine risale probabilmente al XIV secolo. Le 57 confraternite della città fanno una processione di penitenza per le strade, andando dalla loro chiesa fino alla Cattedrale e viceversa, cercando il percorso più breve possibile come decretato dall'ordinanza del Cardinale Nino de Guevara nel XVII secolo.

Dalla Domenica delle Palme al giorno di Pasqua sfilano gli abitanti di Siviglia accompagnando le immagini in processione relative alla Passione di Cristo. Alcuni sivigliani recitano il ruolo di Nazareno: portano in coreto ceri o insenge, indossano una tunica e hanno il volto coperto da una maschera e un cappuccio. Sono un tantinello lugubri, ricordano il Ku Klux Klan, il cappuccio ha sole le fessure per gli occhi perchè l'identità della persona deve essere nota solo a Dio. Per fortuna i cittadini sono abituati a giocare con questo rituale, al punto che nelle pasticcerie si trovano molti incappucciati di cioccolato o marzapane. Sicuramente sono il simbolo più vistoso delle processioni, già in sé molto coreografiche. Accanto ai nazareni, sfilano bande musicali che suonano gli inni delle confraternite, portatori di croci, turiboli con l'incenso e ceri, penitenti vestiti come i nazareni ma senza il cappuccio che stanno dietro alla statua del Cristo e camminano scalzi (un modo per compiere un voto). Al centro, il Mistero del Cristo: ovvero l'immagine e la portantina dove si trova la Statua di Gesù e può essere formata da uno o più personaggi che rappresentano un passaggio della Passione.

Normalmente la maggior parte delle confraternite porta in scena due misteri, uno con il Cristo e le scene della Passione, Morte e Resurrezione, l'altro con la Vergine Maria. A volte si arricchiscono di altri misteri riguardanti l'Ultima Cena, la Trinità, l'Amore. Ma per i sivigliani la parte più importante di tutta la processione è il Palio, o meglio il Mistero della Vergine. Gli abitanti possono aspettare ore in un posto strategico pur di veder passare la "loro" Vergine che per ogni Confraternita è differente, unica e speciale. Al contrario del Cristo che ha diverse rappresentazioni, le immagini di Maria inscenano tutte lo stesso momento della storia: ovvero la Madre che piange la morte del figlio. Cambiano i piccoli dettagli, ai quali i sivigliani tengono in modo particolare ma che il profano spesso non nota. Quello che è evidente, invece, è il manto: l'enorme stola di tessuti nobili parte dal capo della Vergine e si estende fino ad un supporto rigido. Il drappo è sostenuto da pali, a volte sembra quasi un tetto per proteggere la statua. Ognuno di questi teli è un trionfo di ricami, oro, gioielli, sete e broccati e quant'altro di splendido ci possa essere.

Le confraternite si sbizzariscono ogni anno nel cercare di stupire di più attraverso il manto della Vergine, che alla fine è un vero e proprio capolavoro di artigianato. Abitualmente per le strade di Siviglia si snodano processioni di sessantamila persone che recitano varie funzioni, mentre gli spettatori assiepati ai bordi delle vie principali raggiungono il milione durante la notte clou: tra il giovedì e il venerdì, quando le confraternite del Silenzio, del Gran Potere, del Calvario, dei Gitani, della Speranza di Triana e della Macarena intraprendono la loro processione verso la Cattedrale. Il percorso, ovvero la carrera oficial, parte da Plaza de la Campana e arriva alla splendida Cattedrale, dove viene realizzata la stazione della penitenza. Le processioni possono anche essere un'occasione per scoprire Siviglia: a cominciare dall'imponente Cattedrale terminata nel 1507, con la cappella dedicata a San Antonio, la Capilla Mayor con la pala d'altare più grande del mondo, le vetrate istoriate, la tomba di Cristoforo Colombo e il coro di 117 stalli intagliati in stile gotico. Da non perdere è la Giralda, la torre nord occidentale, alta 90 metri e costruita in mattoni tra il 1184 e il 1198 era il minareto dell'antica moschea che sorgeva in questi pressi.

La Giralda, con le sue proporzioni, i colori e le decorazioni è uno degli esempi più belli di architettura islamica in Europa, come il vicino Alcazar. Questo è un affascinante complesso più volte ampliato e rimaneggiato nei suoi undici secoli di esistenza. Splendido nei cortili, nei pati, nei palazzi con i mosaici, nei giardini. Un'oasi di storia e tranquillità nel caos della Settimana Santa. A Siviglia ci si può perdere tra i vicoli del Barrio de Santa Cruz, il quartiere medievale ebraico, ad est della Cattedrale, girovagare per le strade dello shopping intorno a Plaza De San Francisco, riposarsi nell'originale Plaza de España dove tra fontane e canaletti d'acqua si può ammirare una struttura semicircolare in mattoni e piastrelle che rappresenta l'arte ceramica di Siviglia e che sembra una sorta di "Bignami" delle città spagnole. Tutto questo si può fare magari gustandosi uno dei piatti tipici della Settimana Santa, a base di baccalà, o un dolce come le torrijas, sempre ascoltando come sottofondo gli immancabili canti tradizionali legati alle processioni.

Come arrivare
La compagnia aerea low cost Ryanair propone voli diretti da Bologna, Milano, Pisa e Roma. Con uno scalo su Madrid o Barcellona si può arrivare a Siviglia anche, ovviamente, con la compagnia di bandiera Iberia. Questa in Italia raggiunge Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Genova, Milano, Napoli, Olbia, Palermo, Pisa, Roma, Torino, Venezia e Verona. Anche la connazionale Vueling unisce la città andalusa all'Italia con collegamenti diretti, volando su Roma e Venezia.

I cavalli dell'imperatrice


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VIENNA - Vienna e i cavalli: un binomio inscindibile, fatto di eleganza e romanticismo, per secoli, tanto è vero che ancora oggi nelle vie della città ci sono i calessi trainati da magnifici animali. Ma il centro di questa tradizione è tutto nella Scuola Spagnola, la più antica accademia equestre del mondo, che ha sede nell'Hofburg, per oltre 600 anni residenza della dinastia asburgica, fino all'imperatore Francesco Giuseppe e alla sua sposa, Elisabetta, la mitica Sissi. Nel maneggio imperiale della Hofburg vengono allevati i cavalli lipizzani, simbolo di maestosità e potere, e i loro spettacoli di gala sono una delle attrattive più importanti per i turisti della capitale austriaca. Questa accademia, fondata nel 1572, è la più antica Scuola Classica d'Europa. Fu chiamata Spagnola proprio perché utilizzava cavalli di origine iberica. I capostipiti furono infatti importati dalla Spagna dieci anni prima da Massimiliano d'Asburgo.

Erano cavalli di sangue andaluso con una caratteristica inconfondibile: un mantello grigio, quasi bianco. Il mantello e l'origine erano sufficienti a farli ritenere discendenti dal cavallo bianco che, secondo la tradizione, era il preferito nientemeno che di Giulio Cesare. Un'analogia che all'imperatore Massimiliano non dispiaceva. L'esercito austriaco impiantò quindi un allevamento dove si incrociavano questi stalloni con le migliori fattrici del posto. L'allevamento, nel 1580, fu stabilito a Lipizza, oggi Lipica, in Slovenia, un villaggio di campagna vicino a Trieste che diede il nome alla razza. Da Lipizza i soggetti migliori venivano portati a Vienna e addestrati in un maneggio inizialmente in legno e poi riedificato agli inizi del Settecento in forme barocche. Questo stesso palazzo ancora oggi ospita le scuderie e il maneggio dove si può assistere agli allenamenti e agli spettacoli di gala della Scuola di Equitazione Spagnola. Senza la Scuola Spagnola di Vienna oggi forse l'equitazione di alta scuola sarebbe comparsa. Questa, detta anche scuola classica, comprende esercizi non più previsti nelle gare moderne.

Il dressage, che è la disciplina olimpica più vicina e imparentata con questa antica forma di equitazione, prevede infatti che in tutti i movimenti il cavallo mantenga il naturale contatto con il terreno. Nell'alta scuola invece il cavallo salta e si impenna sul posto: cioè esegue movimenti che gli esperti definiscono arie alte. Nei secoli scorsi questi particolari esercizi avevano un fine ben preciso: impressionare gli spettatori delle grandi parate militari e al tempo stesso far capire agli ufficiali delle altre nazioni il livello di preparazione raggiunto dalle proprie forze armate. Insomma, era un'elegante maniera di dire a cortigiani e generali: "State alla larga perchè questa è la potenza della nostra cavalleria". Tra il Settecento e l'Ottocento la Scuola raggiunse il massimo del suo splendore. In quei secoli cambiò anche il modo di montare: i cavalieri impiegavano meno forza e cercavano di sfruttare di più i movimenti naturali del cavallo con una tecnica meno violenta. Questo spiega perchè nel 1735 all'inaugurazione della nuova Scuola di Vienna fu organizzato addirittura un carosello per le amazzoni, al quale prese parte anche l'imperatrice Maria Teresa.

Altra data storica per la Scuola è il 1815, anno di un carosello in onore dei delegati del Congresso di Vienna, cioè i capi delle potenze che avevano sconfitto Napoleone Bonaparte. Le guerre furono sempre nemiche dei lipizzani. Nella zona di Lipizza si svolsero molte battaglie napoleoniche e i cavalli dovettero essere spostati in Ungheria. Poi, dopo la Prima guerra mondiale, Lipizza divenne per breve tempo italiana e i cavalli furono ancora esiliati. Ma il colpo finale lo diede la Seconda guerra mondiale: entrando in Austria gli americani trovarono i cavalli praticamente alla fame. Qualcuno già pensava di farne bistecche, quando trovarono un altro protettore: il generale George Patton, che si innamorò di questi esemplari. Diede disposizioni affinchè venissero nutriti e si adoperò di fare tornare le fattrici allo storico allevamento di Piber. Bisognò aspettare il 1955, però, per ritrovare la Scuola Spagnola a Vienna nella sua sede barocca, perfettamente restaurata dopo i bombardamenti. I cavalli sono tutti stalloni lipizzani, quasi sempre grigi e provenienti dall'allevamento federele di Piber che ha sostituito quello di Lipizza, pur sempre attivo, ma ormai in territorio sloveno.

I cavalli vengono domati molto tardi, a quattro anni, e prendono parte allo spettacolo solo dopo parecchi anni di addestramento. Si inizia con il cavallo che lavora individualmente per poi passare a eseguire le varie figure in gruppo. Poi, per i pochi soggetti che superano anche questa fase, si passa a un addestramento con la musica e le luci artificiali. Gli spettacoli infatti prevedono anche parecchie esibizioni a tempo di valzer. Durissimo è l'addestramento per il cavallo e il cavaliere che dura all'incirca dieci anni. La giornata inizia alle sei del mattino sino alla due del pomeriggio. Si parte con la pulizia di cavalli e scuderie, poi si passa alla lezione in maneggio e alla teoria che comprende veterinaria, alimentazione, bardatura, mascalcia. Altra materia di studio è la musica, poichè molte esibizioni sono accompagnate da musica classica. Le lezioni in maneggio sono la parte più importante. Qui la pratica è tutto: non esistono manuali sulla tecnica di monta adottata dalla Scuola Spagnola. Tutto è tramandato oralmente, di generazione in generazione. L'allievo diventerà cavaliere ufficiale della Scuola solo quando avrà addestrato uno stallone da sé. E quel cavallo sarà il "suo" primo cavallo con cui condividere anni e anni di lavoro e soddisfazioni.

Foto dal sito www.lipica.org

Suite dreams


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Camera, anzi, suite con vista su scenari naturali, archeologici, urbani, che catturano con forza per bellezza e suggestione. È il massimo dei sogni a cinque stelle per i viaggiatori extra lusso: amplificare il piacere della vacanza, vivendo la destinazione nel comfort (con vista) assoluto. Dalle vette andine di Machu Picchu, in Perù, alla Giordania, da Montréal al Marocco, fino a Firenze e alla Sicilia, ecco sette suite per sette differenti viste sul mondo. Alcune in città, altre immerse in una natura spettacolare. E tutte con un unico denominatore: l'eccellenza.

Machu Picchu Sanctuary Lodge - È l’unico albergo che si affaccia sulle rovine della mitica cittadella Inca. Per la sua posizione privilegiata, a 400 metri sopra il fiume Urubamba e a 50 dalla zona archelogica, il Sanctuary Lodge offre ai suoi ospiti panorami naturali d’impareggiabile bellezza, oltre al comfort di un ambiente caldo e accogliente. Dalle due suites, che sono arredate con gusto semplice e impreziosite con tessuti e legni dell’artigianato locale, si ha la vista migliore. Che oltre alle antiche vestigia comprende gli imponenti massicci del Machu Picchu e del Huayana Picchu.
Machu Picchu Sanctuary Lodge, Machu Picchu, Cuzco, Perù
Info: www.orient-express.com


Evason Ma’In Hot Springs & Six Senses Spa - Per raggiungere questo eco-resort di classe e tradizione, ultimo gioiello nato in casa Six Senses, bisogna percorrere la biblica Strada dei Re che attraversa la Giordania da nord a sud e conduce fra le più belle valli e siti del Medio Oriente. A un’ora d’auto da Amman, l’Evason Ma’In si trova incastonato in una conca rocciosa, a 264 metri sotto il livello del mare, fra le alture desertiche che dominano il Mar Morto. Dalle due royal suite, arredate con materiali naturali, legno e pietra locale, e colori caldi dall’arancio al marrone, la vista spazia fino alle luci di Gerusalemme, oltre il Mar Morto, e sulle cascate naturali di acqua termale che zampilla calda a 45°C
Evason Ma’In Hot Springs & Six Senses Spa, Madaba, Ma'In
Info: www.sixsenses.com


Lungarno Suites - Pensate per quanti vogliono provare il piacere di avere casa con vista su Ponte Vecchio e l’Arno, a Firenze, senza però rinunciare alle comodità e ai servizi di un grande albergo a cinque stelle. Le 44 suite di cui dispone il Lungarno Suites sono un’esperienza di luce e stile, dimore eleganti aperte sulle meraviglie della città: dalla terrazza-solarium della Suite Belvedere, ad esempio, si ammirano Palazzo Pitti, Forte Belvedere e San Miniato. A richiesta, un personal chef vi prepara la cena. Lungarno Suites, Lungarno Acciaiuoli 14, Firenze
Info: www.lungarnohotels.com



Caruso Hotel - Immaginate di fare un tuffo nell’infinito, sospesi tra cielo e mare. A Ravello, incanto d’arte e slow life della costiera amalfitana, il Caruso hotel offre molto di più. Ex residenza nobiliare dell’XI secolo, nel periodo del Grand Tour ospitò il gruppo di Bloomsbury. Oggi, nell’infinity pool, incastonata tra la Rocca del Belvedere e l’antica murazione che perimetrava l’acropoli di Ravello, si nuota a 350 metri sospesi tra cielo e mare, sul golfo di Salerno. Da mozzafiato la vista che si gode dalla terrazza privata dell’Exclusive Suite, tripudio di eleganza minimal e design mediterraneo, sul golfo e la costiera, tra piante di limoni e aranci.
Hotel Caruso, Piazza San Giovanni Del Toro 2, Ravello, Salerno
Info: www.hotelcaruso.com

Verdura Golf & Spa Resort - Inaugurato da pochi mesi, il resort cinque stelle, proprietà di Sir Rocco Forte, nostro signore italo-britannico dell’hotellerie di lusso, da solo vale la destinazione. Si trova lungo le coste siciliane di Sciacca, in una zona ancora preservata dal turismo di massa e prende il nome dal vicino corso d'acqua che sfocia nel Mediterraneo. Fiore all’occhiello, i due campi da golf, uno da 18 e uno da 9 buche, disegnati dall’architetto-principe del green Kyle Phillips. Dalla Ambassador Suite, un santuario di privacy, eleganza e stile, la vista infinita spazia tra cielo e mare.
Verdura Golf & Spa Resort, Contrada Verdura, Sciacca, Agrigento
Info: www.verduraresort.com



Dar Darma - A Marrakech, in Marocco, nel cuore della Medina, a due passi dalla celebre piazza Jemaa El-Fna, cuore pulsante della città, e dalla Scuola Coranica Medersa Ben Youssef. Il tuffo in uno degli eterni rendez-vous del bel mondo può iniziare da questo elegante riad di charme. In un palazzo del XVIII secolo, la dimora privata, un’oasi di eleganza ristrutturata da poco, oltre a due appartamenti dispone di quattro lussuose suite con terrazza-solarium e vista sul patio con piscina orlata di palme o sui tetti della città moresca. Superbi gli arredi, un tripudio di preziosi tappeti, lampadari e mobili d’arredo siriani, iraniani, marocchini, dispone anche di un hammam tradizionale.
Dar Darma, 11/12, Trik (rue) Sidi Bohuarba, Marrakech
Info: www.dardarma.com

Fairmont Queen Elizabeth - La suite 1742 del lussuoso hotel di Montréal non è una stanza d'albergo qualsiasi. Quarant’anni fa fu trasformato in uno dei più importanti palcoscenici della storia della musica e del costume per avere ospitato il famoso bed-in for peace di John Lennon e Yoko Ono. Per una settimana, la mitica coppia rimase a letto per promuovere la pace contro la guerra in Vietnam. L’happening calamitò l’attenzione dei media di tutto il mondo. Ogni giorno John e Yoko dal loro letto accoglievano decine di giornalisti, fotografi e intellettuali della controcultura americana che, come Allen Ginsberg e Thimothy Leary, parteciparono alla registrazione in suite dell’inno pacifista Give peace a chance. La camera-museo oggi è fra le più richieste dell’hotel.
Fairmont Queen Elizabeth, 900 Rene Levesque Blvd. W Montreal
Info: www.fairmont.com/queenelizabeth

15 marzo 2010

Orvieto, capitale del fantasy e dell'horror


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ORVIETO - Il terrore corre tra la Storia. Misteri, horror, avventura, paura non potevano trovare casa in un luogo migliore. Nella mistica e quasi esoterica Orvieto si svolge il primo Fantasy Horror Award, il festival dedicato al cinema dell'orrore che in questo periodo è in pieno fulgore. Dal 19 al 21 marzo 2010 si incontrano nella città umbra tantissimi ospiti, da Dario Argento a Carlo Lucarelli, da Brian Yuzna a Robert Englund. Tra anteprime, film in concorso, tavole rotonde, mostre, party, concerti e molto altro. Una tre giorni no stop per gli appassionati del genere che potranno vedere da vicino registi, attori e scrittori. Una full immersion dalle 10 di mattina sino alle 24 nell'horror e nel fantasy. Tutto finalizzato alla serata di premiazione durante la quale saranno consegnate 16 statuette, tra le altre, per miglior film, miglior sceneggiatura, miglior romanzo, miglior interpretazione, miglior serie tv, miglior fumetto, miglior sito web e via spaventando.

Le immagini del Festival saranno poi trasmesse il 24 e il 25 aprile in esclusiva su Fantasy, canale 132 di Sky, che ha organizzato la manifestazione insieme al Comune di Orvieto, la Provincia di Terni e l'APT dell'Umbria. Tra gli ospiti più attesi, ovviamente il re incontrastato del cinema horror italiano, Dario Argento. E poi Federico Zampaglione, neo regista di "Shadow", e la sua musa Claudia Gerini, il mitico Freddy Kruger di "Nightmare" Robert Englund, l'attrice di "Halloween" Kristina Klebe, il musicista Claudio Simonetti, l'autore di "Lost" e "Heores" Jeph Loeb, le nuove leve registiche Milan Todorivic e Nicolas Winding Refn. Non mancano le sezioni dedicate alla narrativa e al fumetto, mentre il premio alla carriera sarà consegnato a Brian Yuzna. Un Festival non tradizionale, che si può seguire anche su www.fantasyhorroraward.com, ma che vivendolo ad Orvieto mette un filo di terrore in più. Non a caso questa città millenaria, già famosa all'epoca degli etruschi, è sospesa quasi per magia tra cielo e terra, ancorata su una rupe di tufo. Uno degli aspetti che la rendono mistica è proprio il dedalo di grotte nascoste nell'oscurità silenziosa della Rupe.

Scavate pazientemente nel corso dei secoli dagli antichi abitanti, sono un immenso patrimonio archeologico e storico. Attraverso di loro si passa dalla Orvieto estrusca a quella medievale e rinascimentale, tra echi misteriosi e viaggi nel tempo. Del resto, Orvieto sembra essere un labirinto nella storia, tra pozzi e cunicoli, gallerie e grotte usate nei secoli per la produzione e la conservazione del tipico vino della zona. Un mondo sotterraneo che sembra essere uno spaccato di un film fantasy o horror come quelli proiettati al festival. A cominciare dal pozzo più famoso, quello che accoglie i visitatori all'entrata della città alta. E' il Pozzo di San Patrizio: a sezione circolare, profondo quasi 62 metri e largo circa 13 e mezzo. Il suo nome è legato al santo irlandese Patrizio, abituato a pregare nella profondità di un pozzo. La costruzione iniziò dopo il 1527, anno in cui il Papa Clemente VII Medici scappò dal Sacco di Roma e si rifugiò proprio a Orvieto. Il Pontefice, scottato dalle imprese drammatiche compiute dai lanzichenecchi, ordinò che venissero costruiti pozzi e cisterne per assicurare alla città un'autonomia idrica in caso di assedio.

Il progetto del pozzo che avrebbe dovuto servire la Rocca, la parte alta della città, fu affidato ad Antonio da Sangallo il Giovane che creò una struttura a doppia elica raggiungendo le sorgenti a oltre 50 metri di profondità e permettendo il facile trasporto dell'acqua in superficie per uomini e animali. I lavori finirono solamente una decina d'anni dopo, nel 1537, quando il Papa Paolo III Farnese ordinò un cilindro esterno al pozzo ornato di gigli, suo stemma di famiglia, per testimoniare la sua presenza a Orvieto. Tuttora due portoni diamentralmente opposti danno l'accesso alle due scale a chiocciola, una per la discesa e l'altra per la risalita, indipendenti tra loro e composte da 248 scalini. Sul fondo è collocato un ponte di legno sopra il livello dell'acqua. Il pozzo è illuminato da settanta finestroni, ma nonostante questo ha un'aurea di sovrannaturale. Altrettanto legato al mondo dei misteri è il Duomo, la principale attrazione di Orvieto, un gioiello dell'architettura gotica. La sua costruzione, avviata nel 1290, fu voluta da papa Niccolò IV per dare una collocazione al Corporale del Miracolo di Bolsena: nel 1263 il sangue sgorgò dal Pane Benedetto mentre un prete boemo celebrava la messa nella Basilica di Santa Cristina a Bolsena.

Il prezioso reliquario del miracolo, che riproduce la sagoma tripartita della facciata del Duomo, è conservato all'interno della chiesa, di una semplicità severa e toccante. Tra gli splendori imperdibili, il portale centrale rivestito di lastre bronzee, il rosone e la Cappella Nuova o di San Brizio affrescata dal Beato Angelico e da Luca Signorelli, con grandiose scene apocalittiche dedicate al "Giudizio Universale". Ma ad Orvieto non mancano le opere legate al passato pagano della città. Come la chiesa di San Giovenale, nata sulle fondamenta di un tempio etrusco dedicato a Giove: è una delle più antiche, risale al 1004 ed è situata sul bordo occidentale della Rupe. Oppure la chiesa di Sant'Andrea e Bartolomeo, costruita sulle rovine di un tempio pagano e di una chiesa paleocristiana. O ancora la Necropoli del Crocifisso del Tufo, con le tombe etrusche. Tra misteri, stradine affascinanti e panorami spettacolari sulla valle sottostante, Orvieto è degna sede del Fantasy Horror Award. Senza contare che i numerosi prodotti locali, dal vino al tartufo, dall'olio alla norcineria, dal pecorino al miele e alla frutta 'antica' come visiciole e sorbe, possono consolare gli spettatori atterriti dalle scene delle pellicole di paura.

Dal carbone all'arte, Ruhr capitale della cultura


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ESSEN - La chiamano la Torre Eiffel della Ruhr, l’imponente torre d’acciaio, icona del passato industriale del distretto minerario tedesco e, prima ancora, gonfalone della Zollverein: la monumentale miniera degli anni Trenta alle porte di Essen, che nel 2001 l’Unesco ha dichiarato patrimonio mondiale dell’umanità. È stato inaugurato qui, con la cerimonia d’apertura intitolata "Gluck Auf" (il tradizionale saluto fra i minatori tedeschi), l’anno che vede la Ruhr capitale europea della cultura 2010. È la prima volta che questo titolo viene assegnato a un’intera regione. Fino a pochi decenni fa, il bacino metropolitano della Germania nord-occidentale era famoso per le miniere di carbone, le cokerie e le acciaierie.

Oggi, grazie a una radicale trasformazione, gasometri e siti minerari sono stati trasformati in straordinari palcoscenici culturali e centri per l’arte contemporanea che costituiscono un insolito quanto affascinante panorama in bilico tra archeologia industriale e progetti urbanistici avveniristici, firmati da archistar come Norman Foster, Herzog & de Meuron, David Chipperfield, Alvaar Alto. È di Rem Koolhaas, per esempio, il modernissimo RuhrMuseum da poco inaugurato nell’ex padiglione della Zollverein dove un tempo veniva lavato il carbone: l'ex rampa di scivolo del silos è stata trasformata da Koolhas in una spettacolare scalinata illuminata da neon color rosso incandescente, che si arrampica per oltre 30 metri e porta alla sala museale che ospita una ricca documentazione sul passato della regione. Mentre è una realtà ormai consolidata già dal 1997 il Red Dot Design Museum che Norman Foster ha ricavato nell'edificio 7 del complesso minerario, quello che un tempo ospitava la caldaia: una cattedrale dell’industria, dove il simbolo della sacralità è costituito da un'auto sospesa come un dio pagano.

Nei pressi di Essen, a Oberhausen, città gemellata con la sarda Carbonia, si può ammirare un altro esempio di spazio industriale recuperato a centro espositivo e palcoscenico per installazioni e mostre di architettura: l'ex Gasometro. Edificato nel 1929, con i suoi 170 metri di altezza e un diametro di 68, è il più grande d'Europa e ospita numerosi eventi in ambito di Ruhr 2010. Nel corso dei prossimi mesi, le 53 località prescelte della regione saranno palcoscenico per circa 2.500 eventi. Fra le capitali della cultura, Duisburg è la città con il porto fluviale interno più grande al mondo: negli ultimi anni è stato recuperato a nuova vita da Sir Norman Foster con la creazione di centri residenziali, locali, gallerie. Proprio sul water front si affaccia il Museo d'arte moderna e contemporanea Kuppersmuhle: ricavato nell'ex silos e magazzino di stoccaggio di cereali, sarà ampliato su progetto degli architetti Herzog & de Meuron.

Dj Jad: la mia Havana hip hop


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Spesso nella sua musica ricorre l'idea del viaggio, come fonte d'ispirazione e come sogno. Dj Jad porta già nel nome d'arte un qualcosa di esotico: Jad in sanscrito vuol dire "pazzo". L'ex metà degli Articolo 31, al secolo Vito Luca Perrini, classe 1966, dopo un album da solista, "Milano-New York" concepito nella metropoli americana e realizzato con collaborazioni locali, è tornato in Italia. Il suo recente cd "Il Sarto", un mix tra soul e hip hop, racconta uno spaccato del nostro Paese anche grazie a molti artisti che hanno lavorato con lui. Fra questi Cor Veleno, Amir, Ensi e Dj Enzo. Dopo quattro anni di cambiamenti artistici e privati, Dj Jad si è quindi cucito addosso un'anima musicale che lo rispecchia totalmente. Nel suo curriculum anche un'altra produzione: la doppia compilation "Back on track" del 2005, realizzata con la collaborazione di firme come Missy Elliott, The Roots, Alicia Keys e Outkast.

"Io sono uno che ha sempre voluto viaggiare, perchè si impara di più andando nei posti che dai libri, che comunque servono. Partivo dal mio quartiere periferico di Milano alla volta di Londra o Parigi. Poi con il successo degli Articolo 31 è arrivata la possibilità di esibirci all'estero. In particolare, mi è rimasto nel cuore un concerto che abbiamo fatto all'Avana a Cuba nel 1999. Ci sono tanti aneddoti legati a quel viaggio che magari un giorno scriverò in un libro. È stato meraviglioso sotto ogni aspetto. Ho scoperto un popolo splendido che non ha niente; non muoiono di fame, ma non se la passano decisamente al meglio ed è comunque sempre allegro e sorridente. Ho cercato di capire questa loro caratteristica e ho scoperto che sta nel fatto che non conoscono né invidia né astio, sono sempre pronti ad aiutarsi tra loro, hanno una mentalità diversa dalla nostra che li porta a stare bene con sé stessi. Noi abbiamo fatto vita da turista: sei ai Caraibi non puoi non andare al mare. Dopo un tuffo in acqua, mi sono ritrovato circondato da belle ragazze, un paradiso per un uomo. Ma io, che sono un tipo fedelissimo, mi ero portato dietro la mia fidanzata di allora. Ovviamente abbiamo mangiato tantissimo pollo e aragoste, che però devo dire sono piene di carne ma poco saporite. Eravamo ospiti dell'Avana Libre, l'hotel che un tempo era il punto d'incontro degli americani.

Ho conosciuto il dj della discoteca che c'è al piano di sopra: gli ho regalato le mie cuffie e alcuni strumenti di lavoro, si è commosso, si è messo a piangere e io mi porto ancora nel cuore il suo sorriso che arriva oltre le orecchie. Abbiamo anche visitato una scuola di musica: era strano vedere questi ragazzi suonare in un posto senza porte e finestre, chi cantava, chi suonava le percussioni in un angolo, chi era chino sul pianoforte nel corridoio. Siamo anche stati ospiti della televisione cubana, ci siamo ritrovati in uno studio stile "Happy Days", molto colorato. Loro sono rimasti fermi agli anni Cinquanta, ma sta anche qui il fascino dell'isola. L'Havana è una città consumata, era la Las Vegas degli anni Trenta, qui venivano tutti i gangster dell'epoca come Al Capone, poi c'è stato l'embargo e tutto è cambiato. Ricordo che c'era molta attesa per il nostro concerto, avremmo dovuto suonare alle 10 in piazza Camilo Cienfuegos. Alle 8 avevo appuntamento con una persona che conoscevo e questo mi accompagna nel ghetto: povertà e miseria, case senza porte, gente 'tamarra'. Ma io non ho avuto paura, ero rilassato, anche se vestito propriamente da turista con i bermuda e il cappellino. Sentivo una vibrazione positiva, siamo stati a bere in una casa e all'improvviso mi sono reso conto che erano già le nove, avrei dovuto essere nel backstage del concerto.

Di corsa, sono arrivato in piazza e ho trovato i miei collaboratori preoccupati per me, me ne hanno dette di ogni. Ma la cosa strana era che nella piazza non c'era nessuno, era vuota e deserta. Ho chiesto a un custode, mi ha risposto che era l'ora della telenovela preferita e più famosa di Cuba. Così siamo tornati in hotel e abbiamo bevuto una dietro l'altra una serie di piña colada con il cocco fresco: e pensare che ora sono astemio! Alla fine, al momento di salire sul palco, c'è stata una sopresa: in piazza c'era una marea di gente, noi eravamo quasi ubriachi e sul palco abbiamo fatto di tutto, improvvisando parecchio. È stato un delirio. Un concerto strepitoso che mi è rimasto nel cuore, anche se la mia città preferita resta New York. Ci vado spesso, anche due volte l'anno, ci ho vissuto e lavorato, mi ha arricchito professionalmente e umanamente più del successo che ho avuto in Italia. Adoro New York perchè è il centro del mondo, un miscuglio di razze ed energie che trasmette emozioni inimitabili".